I miei sentiti complimenti, ma a me interessava anche e soprattutto individuare perché l’Asolo Prosecco DOCG può proporsi come qualcosa di più e di diverso nei confronti dei vini confratelli. Tutto (e poteva essere diversamente?) sta nel terroir pedemontano che dona un plus di verticalità non tanto in termini di spinta acida, che poi la Glera non ne ha tutto questo bisogno, bensì come profondità sapida, senza che con questo il sorso debba apparire più magro o come “scarnificato”. Piuttosto, la commistione tra acidità e struttura consente tendenzialmente pure delle permanenze sui lieviti più prolungate, con conseguente virtuosa compresenza tra sensazione di pienezza al palato, equilibrio e tattilità setosa della carbonica.
E non è forse un caso che Asolo sia l’origine di alcuni tra i più riusciti esperimenti di Prosecco Col Fondo. Questa rivisitazione in chiave moderna dell’antica metodologia di spumantizzazione contadina, con i vantaggi della conoscenza dei processi microbiologici e della doverosa attenzione all’igiene in cantina, consiste in pratica di una prima fermentazione alcolica direttamente coincidente con la presa di spuma, con i lieviti responsabili che rimangono in sospensione nel vino, senza degorgément di sorta, a donare rotondità, profondità e complessità aromatica. Corpo e acidità in quel di Asolo consentono il prolungamento di questo contatto, con durate degne di un metodo classico ambizioso (i trenta mesi non sono infrequenti). Numerosi i vantaggi: la trama delle bollicine diviene più fine; la prorompente acidità varietale della Glera viene naturalmente smorzata dalla rotondità guadagnata dalla lisi dei lieviti, senza necessità di dosaggi artefatti; e l‘articolazione dei profumi ne guadagna in peculiare personalità, emendandosi da un diretto (e diritto) coté fruttato tanto gradevole quanto potenzialmente banale.
Il Prosecco Col Fondo rimane una piccola nicchia in un mercato di grandi numeri, praticata solo da 4/5 produttori, con i grandi marchi che hanno fiutato il potenziale allargamento del proprio business, con conseguente levata di scudi dei piccoli produttori, impegnati a rivendicare la “purezza” della naiveté del loro approccio alla vinificazione, e a comunicarla come indispensabile alla peculiari caratteristiche organolettiche della tipologia. La si consideri come moda passeggera, espediente di marketing o risorsa identitaria felicemente recuperata, non si può negare come l’Asolo Prosecco DOCG se ne sia giovato per definire come le proprie caratteristiche siano percepite dai consumatori più avveduti e curiosi.
Venendo alla degustazione di 20 diconsi 20 Prosecco DOCG per lo più Extra Brut e Brut Nature (e anche questa è una peculiarità), con qualche referenza Brut, l’impressione positiva è quella della coerenza interpretativa a livello dell’intera denominazione, nei termini di una sottolineatura delle caratteristiche sopra delineate, sia da parte delle grandi aziende con diffusione più pervasiva nel mercato, sia da parte delle realtà produttive più piccole. Non difettano praticamente mai pienezza gustativa, nerbo acido, nettezza (ma non monoliticità) di frutto, una discreta profondità salina che si esprime in superiore allungo.
Al di là della contabilità spicciola degli assaggi, e senza sottostare alla tirannia dei punteggi per una denominazione della quale mi riproponevo di approfondire la conoscenza, ecco alcune etichette che ritengo si siano distinte: in primis il Vecchie Uve di Bele Casel (www.belecasel.com), il prodotto di un vecchio vigneto ove con sapienza d’antan convivono vecchi vitigni non necessariamente ben identificati… Ma chi se ne importa, se a un olfatto di deliziosa espressione floreale segue un sorso nervoso e sapido, di una presenza succosa quasi leggermente tannica, che si allunga su toni vegetali rinfrescanti che re-invitano alla beva, tanto più che i ben 16 mesi sui lieviti cesellano una bollicina carezzevole.
Fonte: Riccardo Margheri - Acquabuona.it