Duilio Del Prete, dunque. Cosa c’entra Duilio Del Prete?
C’entra perché fu il primo a tradurre in italiano una canzone di Jacques Brel di pochi anni prima, il cui titolo qui da noi è La Canzone Dei Vecchi Amanti.
Di Del Prete si ricordano in pochi, eppure fu un uomo poliedrico, attore e cantante, uno spirito libero e curioso, dotato di fantasia e di intuizione, deciso e rapido nell’esecuzione. La sua traduzione di quella canzone fu in seguito più volte rivista e modificata, fino al punto di svolta di Battiato che la incise in un album di vecchi brani di altri autori, Fleurs, consegnandola alla contemporaneità. Tuttavia la versione alla quale penso io è un’altra: quella nuda di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti.
Che ha l’incedere e il ritmo di questo cabernet sauvignon, tra contrabbasso e pianoforte. Devo ancora imbattermi in un rosso dell’annata 2004, tra piemontesi e toscani bevuti di recente, che non sia oggi in uno stato di beatitudine, quasi come dopo l’amore. E di questo sa il cabernet di Paolo De Marchi, uno che se ne sta appunto tra la Toscana e il Piemonte e che a tre vitigni internazionali (oltre a questo, un syrah e uno chardonnay) ha dedicato la sua Collezione (il nome nel tempo è cambiato da Collezione De Marchi a Collezione Privata).
Che sia cabernet non vi è dubbio, ma non ci troverete il peperone crudo e verdastro di certi sciatti cabernet italiani. La dichiarazione di appartenenza qui la fa una vellutata foglia di pomodoro, tale che sembra di accarezzarla. Anche i sentori dei legni dell’invecchiamento sono svaniti con il tempo, lasciando un’ombra fresca di radice di liquirizia e uno svolazzo di cenere. Nel calice il vino si apre ancora, senza fretta, e offre profumi sempre nuovi, dalla carne alle marene sotto spirito alle peonie in fiore al rosmarino. In bocca è un bacio caldo, silenzioso, ampio, teso, seducente.
Erotico come la voce di Petra Magoni è. Come il brivido entrando in una stanza di uno quegli alberghi di una volta, dove ci si incontrava senza bisogno di lasciare i documenti a un portiere che non capiva una parola di italiano. Ansimare con un ricordo salato sulle labbra.
Se il vino, come qualcuno dice, è un surrogato, io e questa bottiglia abbiamo fatto cose da non dire.
Fonte: Nicola Barbato - Intralcio Magazine