Principia da qui una rassegna oltremodo corposa dedicata ai vini appartenenti alla speciale categoria dei Supertuscan, traguardati e raccontati attraverso le ultime annate attualmente in commercio. Ora, a causa dell’estensione dello scritto e in ragione della salvaguardia psicofisica dei pazienti lettori, abbiamo deciso di frammentare l’assunto in più puntate, ciascuna delle quali sostanzialmente legata a un’areale geografico di riferimento, fatto salvo il caso del Chianti Classico, forse patria putativa della categoria, per il quale abbiamo ulteriormente suddiviso la trattazione in due parti, accorpando i Supertuscan “sangiovese-centrici” in questo primo articolo, per poi passare ai figli del meticciato nella prossima puntata, ovvero a quei vini che hanno alla base vitigni forestieri, o tuttalpiù blendati con vitigni nostrani.
Inutile stare a rivangare cause e concause che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di vini del genere, fatto sta che di acqua ne è passata sotto i ponti, e alla luce della contemporaneità possiamo ben dire che quasi sempre l’approdo verso questa categoria di vini costituzionalmente al difuori dei disciplinari di produzione (anche quando teoricamente potrebbero rientrarvi) tiene conto, da un lato, di una sana tensione sperimentale, ciò che spinge un viticoltore ad esplorare l’esplorabile senza sentirsi stringere addosso i vincoli implacabili di un disciplinare DOC o DOCG; dall’altro di una altrettanto “sana” opportunità commerciale, dal momento in cui – com’è come non è ma il fatto è accertato- quasi sempre sti vini qua sono andati a rappresentare le etichette più costose di una gamma, in grado quindi di strappare prezzi importanti sui mercati del mondo, fatte salve alcune denominazioni particolarmente avvezze a prezzi che non scherzano (come Brunello di Montalcino), per le quali uscire dal seminato non ha mai costituito un dipiù dal punto di vista del realizzo economico.
Ma al di là degli aspetti commerciali o di bottega, quel che più conta sta nell’essenza delle cose, e qui dobbiamo ammettere che, rispetto a un tempo, la volontà e la determinazione di produrre vini oltremodo caratterizzati e “trasparenti” nella loro espressività va emergendo sempre più e in modo generalizzato. Pochi tutto sommato i testimonials ancora legati ai vecchi stilemi un tempo vincenti (saturazioni cromatiche, concentrazione di materia, estratto, generose infusioni di rovere piccolo e nuovo) ed oggi messi pesantemente in discussione in ragione di una evidenza, ovvero la reale difficoltà a berli.
Per cui all’interno della speciale categoria possiamo davvero incontrare degli autentici primattori, alcuni dei quali di storica reputazione, al limite dell’iconico, altri di più recente conio ma che si stanno facendo apprezzare sempre di più, frutto di vinificazioni premurose e – spesso – di una viticoltura rispettosa e consapevole.
In questi articoli ne ho messi in ballo un bel po’, fra belli e meno belli, fra sorprendenti e suonatori in bemolle. Quel che è certo e che non si muore di noia, e quando becchi il Supertuscan “giusto”, in qualità di reale “amplificatore di territorio”, non ce n’è per nessuno.
TENUTA DI CARLEONE – IL GUERCIO 2021 (sangiovese)
Flessuoso e candido, croccante e succoso, con tanta acidità ad alimentarne la progressione e la freschezza, ecco un Guercio spontaneo e seducente, di cristallina purezza.
Fonte: Fernando Pardini - Acquabuona.it