Camillo Favaro, oltre che essere produttore di vino, scrittore di vino (tanto bravo), grande conoscitore della Borgogna (con tre libri sull’argomento), appassionato di musica, è anche un amico.
E quindi prima di mettermi a scrivere queste righe mi sono interrogato su quanto sia possibile riuscire a mantenere l’obiettività e l’equidistanza necessaria: il rischio di indulgere in giudizi alterati dal filtro amicale e cedere a visioni eccessivamente “buonistiche” è probabilmente alto.
Però diventa semplice quando il vino parla per sé e fa, per certi versi, dimenticare chi lo ha fatto. Sorprende, i più, una freisa fatta in Canavese: ma, se si conosce un po’ il territorio, si sa che questo vitigno c’era da lunghissimo tempo. Sorprende che sia lontana da certi stereotipi (errati) che si hanno di questo vitigno, ovvero una facilità che non appartiene a quest’uva (forse anche per gli stretti legami ampelografici con il nebbiolo).
Sorprende, ancor di più, la declinazione fatta in questa occasione che giochi su una doppia anima: da un lato l’eleganza del frutto e una delicatissima speziatura, che rimanda a certe vespoline dell’Alto Piemonte; dall’altro una fragorosa e coinvolgente componente gastronomica, fatta di grande freschezza, sapidità invidiabile e tannini ancora vibranti che si esaltano a tavola.
In definitiva, un vino eclettico e seriamente giocoso, quasi godurioso.
Fonte: Intralcio.it