Mi trovo a disagio, quasi in soggezione, a scrivere dell’Erbaluce di Camillo Favaro (e del padre Benito).
Non per una strana reverenza del vino in sé, ma per come il produttore utilizza quotidianamente le parole nei suoi post sui social: la sua narrazione è asciutta, brillante, seriamente ironica. Adopera immagini che quando pure toccano la polemica non lambiscono mai la bruttezza, l’urlato. Arriva al punto senza manierismi, graffia ma non strappa, il verbo resta inserito perfettamente nell’eufonica frase.
Nell’Erbaluce Le Chiusure 2018 ritrovo l’efficacia di un messaggio veicolato attraverso un mezzo scarno, dove viene escluso qualsiasi ornamento o eccesso. Il vino, spoglio di artifici e formalismi, diviene scabro, essenziale. Visivamente un oro brillante colpisce l’occhio, e se volete è l’unica eccentricità che si concede. Il naso torna ad essere privo di imbellettamenti, dove l’intensità della nocciola funge da preludio ad una bocca potente ed estremamente elegante (Borgogna in my mind). La bevuta, che badate bene non viene meno in complessità, va avanti rilassata, senza strappare con allunghi acidi o curve iperboliche grasse. È un andamento sinuoso verso un futuro prosperoso: tra 4 o 5 anni, Le Chiusure 2018 raggiungerà forme piene ma sempre ben proporzionate.
“Come parla? Come parla? Le parole sono importanti” – temo un sonoro ceffone.
Fonte: Enrico Nera - Intralcio