Dopo la seleção di bollicine brasiliane e il viaggio tra i fasti della Belle Époque ritorniamo a nord del Po, per parlare della Franca Contea o Franciacorta, per i più sgamati. L’occasione si presenta all’evento bolognese, promosso dal consorzio di tutela, che ha messo insieme una quarantina di produttori, sotto il cappello del #FestivalFranciacorta.
Una panoramica abbastanza completa su una denominazione che accende gli animi e forma schieramenti contrapposti: detrattori vs. sostenitori, millantatori vs. diffamatori. Uno dei punti principali, venuti fuori al seminario di approfondimento, è stato l’onnipresente paragone con lo Champagne che sembrerebbe rappresentare, nella percezione del consumatore italiano, la scelta più logica e automatica, quando si va su certe cifre. È chiaramente una questione di immaginario collettivo, che i francesi hanno costruito nel corso di 300 anni: l’associazione “celebrazione/Champagne” è stata instillata nella nostra corteccia cerebrale a suon di letteratura, cinema, sport, televisione e non è facile rimpiazzare una formula tanto riuscita. Inutile, quindi, entrare nella bagarre in questa occasione, veniamo in pace e focalizziamoci sulla Franciacorta: DOCG dal 1995, 2.900 ettari vitati su 19 comuni a sud/sud-est del Lago di Iseo, circa 18 milioni di bottiglie prodotte all’anno, di cui solo l’11% esportate all’estero (addirittura circa la metà delle bottiglie non esce fuori dalla provincia di Brescia).
I suoli hanno origine morenica, generati dal ritiro del ghiacciaio delle Alpi Retiche, questo significa grande ricchezza di minerali che restituisce alle basi di pinot nero, chardonnay e pinot bianco buona complessità, struttura ed equilibrato apporto di acidità e sapidità. Non serve cercare i picchi organolettici della Champagne, fatti di sferzanti acidità e inesauribili mineralità gessose, qui si esaltano, per così dire, gli angoli smussati, le fresature, le finiture (con le dovute eccezioni, naturalmente). L’importante è stare sul pezzo e non cedere troppo alle lusinghe al ribasso del mercato, perché il consumatore diventa sempre più eno-stronzo, conosce di più e perdona di meno…
Con questi buoni propositi mi tuffo nella grande sala affrescata di Palazzo Re Enzo per dar fuoco alle polveri.
Faccoli Franciacorta Extra Brut s.a.
60% chardonnay, 20% pinot bianco, 20% pinot nero – almeno 20 mesi sui lieviti – 1 g/l di residuo zuccherino
Ha un naso fresco, pungente, inaspettato di zeste di lime ed erba tagliata, poi viene fuori la crosta di pane e la mineralità di pietra bagnata. Bocca rigorosa, senza sbavature, dritta come una lama. È energico e finisce sapido e dissetante.