Campania IGT Fiano Don Chisciotte 2008, Pierluigi Zampaglione
Il Don Chisciotte è un vino buonissimo con un sostanziale, gravissimo difetto: sebbene da qualche tempo non si finisca più in isolamento dicendo e scrivendo naturale, alcuni vini conservano la proprietà di richiamare l’attenzione della Guardia di Finage e della Buoncostume. Parliamo in questo caso delle temibili pattuglie di tutori dell’ordine dei bianchi campani: per loro rischia il trattamento sanitario obbligatorio chiunque venga colto in flagranza di reato.
Per questo, poiché tenevo alla mia libertà, avevo preso a bere Don Chisciotte esclusivamente nelle conventicole dei fanatici del cedro, dell’arancia e del rabarbaro canditi, in quelle dei cultori dello zenzero e del rosmarino o coi devoti confratelli del cappero e delle salamoie. Nel rendere ora pubblica confessione, ammetto di essere interessato più a impressione globale e suggestioni che ai giochi di dissezione e individuazione degli aromi.
Ebbene: il segno distintivo è qui il tocco, il rilievo tattile, durante e oltre i sapori. Vi concorrono tannino, sale, trama, sostanza, la sensazione della buccia vellutata d’una pesca matura, la polpa più sotto, la punta amara e terrosa di radici di genziana e liquirizia. Un tutto integrato e solidale, buonissimo così. Un composto che, cionondimeno, piccoli chimici e aspiranti anatomopatologi desidereranno scindere nei suoi componenti. E sarà proprio allora che io tornerò in clandestinità e in ciavatte (1) subito dopo aver augurato a voi tutti uno splendido finale d’estate.
Fonte: IntraVino