A pochi giorni di distanza dalla chiusura dell’evento Chianti Classico Collection 2020, anteprima dei vini dell’areale del Chianti Classico, condivido con voi le mie impressioni sulle annate presentate e sui vini degustati.
Le annate in degustazione in anteprima erano ufficialmente la 2018 e la 2017, due annate molto differenti fra loro in termini di andamento climatico stagionale, di rese e di espressione nel calice.
La 2018 è stata, infatti, un’annata dalle connotazioni classiche come non se ne vedevano da lustri: inverno freddo con abbondanti nevicate e temperature ben al di sotto dello “0” che hanno permesso alle piante di riposare in attesa di una primavera altalenante, molto piovosa. L’estate ha mantenuto una certa incertezza, alternando a giornate di sole e picchi di calore nei regimi stagionali a forti piogge, che in alcune aree si sono protratte fino a ridosso della vendemmia, causando non pochi problemi. In generale, però, il settembre è stato sereno, con le temperature e le ore di luce ideali alla perfetta maturazione delle uve, agevolate nello sviluppo aromatico da nette escursioni termiche giorno-notte. Ne risultano vini molto freschi, dinamici e dal buon potenziale evolutivo. In alcuni casi, per quanto sia prematuro giudicare vini così giovani, a mancare è, comprensibilmente, quel quid in più di struttura e di fierezza che l’annata non ha permesso di vantare. In compenso emergono note fresche floreali, balsamiche e minerali che sono sempre più rare da percepire nelle ultime annate.
La 2017 è stata, invece, è da considerarsi a ragion veduta opposta alla 2018 per siccità e picchi di calore. Se l’estate è stata calda e siccitosa, però, a fare paura sono state le gelate tardive di aprile che, in molte zone, hanno causato la perdita di molti germogli – già molto avanti – e, quindi, della produttività parziale delle piante.
Per i vitigni semi-tardivi come il Sangiovese sono state provvidenziali le piogge e le maggiori escursioni termiche di settembre, capaci di ridare polpa alle uve e di preservare una buona acidità totale. La produzione è comunque stata decisamente più bassa della 2018.
Se è proprio la freschezza percepita in alcuni vini di questa annata a stupire, è altrettanto vero che a fare la differenza fra i migliori assaggi e i vini meno performanti sono state due peculiarità da addurre alle condizioni particolari del 2017: toni fruttati surmaturi ai limiti della cottura e tannini duri e ruvidi, dovuti ad un evidente gap fra maturazione tecnologica e fenolica.
Va detto, però, che molti produttori ritardano le uscite dei propri vini siano essi Chianti Classico “annata”, Chianti Classico Riserva o Chianti Classico Gran Selezione, e questo ha portato nel mio calice molte Riserve e Gran Selezioni 2016 e 2015, con alcune referenze addirittura di annate più addietro. Impressionante come le 2016 assaggiate “oggi” siano di un livello qualitativo medio davvero altissimo con un bilanciamento fra freschezza e struttura fra potenza e finezza ineccepibile.
Cantina Ripoli – Chianti Classico 2017
Se con la 2016 Francesco Sarri aveva imbroccato la strada giusta, dimostrando uno degli esordi più luminosi dei quali ho memoria, la 2017 poteva ridimensionare e non di poco l’entità di questo garagiste. Così non è stato! Frutto croccante, tonalità balsamiche che fanno da prefazione ad uno svolgimento dinamico, sin troppo agile per l’annata. Il finale è saporito, umami. Se era stata buona la prima, la seconda non è da meno, al netto delle differenze sostanziali di due annate come la 2016 e la 2017.