Per scegliere un Nord da portare alla manifestazione annuale di San Casciano Classico (l’associazione delle aziende del Chianti Classico che ricadono nell’omonimo comune), Antonio Boco e Paolo De Cristofaro hanno scelto un Sud, dando ai punti cardinali non solo categorie geografiche ma enogeografiche, travalicando i soliti schemi.
“La vigna e il vino non sono solo definiti dalla latitudine in cui si trovano, ma incrociano elementi geologici, climatici e il fattore umano in maniera inestricabile: ecco perché presentiamo a Perchè Nord? un territorio al sud d’Italia secondo la geografia, ma che racconta una storia nordica”.
Per chi si fosse perso le prime due puntate ricapitoliamo che la UGA San Casciano e le altre 13 del Chianti Classico fanno parte della lista delle mappature di secondo livello italiane, quindi sulla stessa “riga” di MGA del Barolo e Barbaresco, delle Rive del Valdobbiadene o delle Pievi di Montepulciano.
È importante ribadire che non ci sono gerarchie nella mappatura di secondo livello: sono tutte alla pari come qualità, cambia solo l’origine ed eventualmente il carattere dei prodotti. Nella fase storica in cui siamo in Italia, è improprio usare la mappatura per dare una determinazione del carattere di un vino. Non c’è causa-effetto, anche perché, soprattutto nel Chianti Classico, una UGA è troppo grande perché si abbiano vini molto simili per effetto del territorio stesso…
Ma allora perché lo facciamo? Quale è la novità che hanno portato le UGA nel Chianti Classico? Ci suggeriscono una lettura più particolareggiata, più fine, con più dettaglio su cui poi avviare indagini sempre più minuziose al fine di dimostrare che una DOCG ha un patrimonio e una dimensione collettiva e plurale molto più grande di quanto si possa pensare.
San Casciano produce vini dal carattere solare e polposo che la fa spiccare all’interno della sua DOCG per queste caratteristiche ed è strano, solo idealmente, che rappresenti il Nord del Chianti Classico. È un territorio giovane come età media dei produttori, con intensità di sperimentazioni e voglia di fare, producendo vini non solo di alta qualità ma con tanta riconoscibilità e una visione contemporanea. Ci sono grandi nomi e grandi famiglie fiorentine (compresa la più grande d’Italia come Antinori), ma anche tanti piccoli e nuovi produttori che si affacciano alla ribalta in maniera baldanzosa e originale, andando oltre la classicità e nobiltà retaggio del recente e arcaico passato. “C’è un bell’affresco storico su cui si danno pennellate moderne e anche qualche graffito“, dice Antonio.
San Casciano è logica e paradosso: una UGA molto in forma nel suo stile mediterraneo e solare, con equilibrio e piacevolezza, poca austerità, che ha poco risentito del cambiamento climatico.
È paradossale perché in teoria dovrebbero essere vini più stanchi e alcolici. L’elemento umano ha invece sperimentato e lavorato in maniera che, sia in vigna che in cantina, non si avverta il cambio: dall’alberello al raspo fino a contenitori e vasi vinari alternativi, non ci si è fatto mancare nulla.
San Casciano si estende per 15 km da nord a sud e 8 da ovest a est, con oltre 1500 ettari vitati (tanti in percentuale, ma ancora di più gli oliveti), tra i 100 e i 300 metri di altitudine, su colli molto dolci e paesaggio uniforme. Dal punto di vista geologico è un altopiano con depositi fluviali antichi, con diversità nel nord-est (macigno a Chiesanuova) e nella zona di Poggio la Croce (formazioni alberese e formazione di Sillano) risultando in una delle UGA del Gallo Nero più uniformi insieme a Lamole dal punto di vista geologico, climatico e microclimatico.
Nel bicchiere, i vini sono golosi ma anche con una struttura e complessità non banali: armoniosi, immediati, con tannini mai troppo aggressivi nonostante le temperature medie molto elevate.
L’Irpinia è una bella idea di nord ideale che si trova al sud, ma completamente diversa rispetto al contesto dove si trova. È un unicum anche per la Campania stessa: un posto fresco anche nelle giornate più calde estive, con escursioni termiche importantissime e temperatura media bassa. È un territorio appenninico di montagna molto intenso nella provincia di Avellino, l’unica insieme a Benevento, senza accesso al mare, con collina e montagne anche verso i 2000 metri di altitudine e pochissime zone di pianura, situate attorno alle zone vitivinicole.
È inoltre una zona a bassa densità abitativa. La temperatura è oltre 1,5 gradi in meno rispetto a Napoli, ma il percepito è anche maggiore appena ci si arriva. La piovosità supera i 1300 mm (per avere un confronto, il Chianti Classico e altre zone DOCG sono sugli 800…), con 107 giorni di pioggia all’anno (e prima erano ancora di più, come ricorda Paolo De Cristofaro col il suo fido ombrello), e neve presente ancora per qualche anno.
In epoca di fillossera, la Valle del Calore e l’Irpinia tutta erano la terza zona con più produzione al mondo, e c’era una ferrovia che in pratica trasportava il vino in tutta Europa. Il Taurasi diventa importante perché c’era appunto uno scalo ferroviario che smistava in varie destinazioni.
Non si può parlare di Taurasi e Irpinia senza citare la famiglia Mastroberardino, la cui cantina nasce nel 1878, e già allora i vini irpini e campani avevano importanza capitale anche per altre zone. I rossi Mastroberardino erano già ottimi negli anni ’20 e ancora oggi si mantengono con piacevolezza a trovarne delle bottiglie in giro… Sono particolarmente importanti quando nel dopoguerra arriva la fillossera e si spopolano le campagne. All’epoca arrivavano barbera, sangiovese e altri vitigni imposti e raccomandati da agronomi ed enologi, ma la famiglia Mastroberardino, con contratti e supporto, aiuta la produzione e i contadini a non allontanarsi dalle varietà storiche. La viticoltura irpina moderna nasce quindi negli anni ’70 attorno alle varietà storiche, subito dopo il momento in cui il Fiano ha quasi rischiato di sparire se non a Lapio.
Ci sono 1800 ettari vitati a Taurasi docg sui 6500 ha vitati totali e la vigna si vede pochissimo girando per l’Irpinia. Il Taurasi nasce per lo scalo ferroviario, nel cuore del settore centro-occidentale, con 18 comuni tra Valle del Calore e i monti Picentini. Da nord a sud si estende per 27 km, da ovest a est per 17 km, con 1150 ettari per il Taurasi DOCG che corrisponderebbero ad oltre 2 milioni di bottiglie potenziali, ma se ne producono la metà.
Sono vini tannici da abbinamento con cacciagione, lunghe cotture, salse e stracotti, che ormai si bevono poche volte l’anno. Richiedono lustri e decenni (stile Bordeaux) per essere apprezzati davvero senza avere una finestra di consumo precoce, con difficile gestione anche nei ristoranti. Siamo molto lontani dal Chianti Classico, dove i vini sono longevi ma anche pronti in una finestra di godimento molto vicina all’uscita sul mercato.
Il Taurasi è composto per l’85% da aglianico ma quasi tutti lo producono in purezza. Si divide in Rosso o Rosso Riserva per la diversa sosta in legno, ed esce dopo 3 o 4 anni. L’altitudine varia dai 185 ai 1275 metri, ma la maggior parte si trova tra 300 e 600 metri. Nella parte sud ci sono alcune zone oltre i 700 metri. L’origine dei suoli è marina, con marne argilloso-calcaree che prevalgono, con vene vulcaniche di eruzioni antiche dei Campi Flegrei. Ci sono anche suoli modificati da eruzioni più superficiali con ceneri e lapilli, e terra nera vulcanica molto visibile. La viticoltura presenta molte vecchie vigne, anche prefillosseriche di 150 anni, vere e proprie vigne patriarche. Le vendemmie sono tardive, arrivando a volte anche a novembre.
I vini hanno una tessitura importante, con struttura aspra, fredda e rigida che si contrappone tanto alla dolcezza di San Casciano. In realtà, il carattere acido e fresco aiuta a berli, dandogli uno slancio insospettato. Aromaticamente presentano frutto più austero e scuro, ma soprattutto pepe e speziatura scura molto presente, note ematiche, terrose, di radici, polverose, di sottobosco e sanguigne che hanno portato il Taurasi ad essere definito “Barolo del Sud”.
La grana tannica dei vini qui radunati per la degustazione è tra le più fini che si possano trovare. Nel Taurasi si distinguono tradizionalmente quattro settori: Nord-Ovest, Nord-Est, Sud-Ovest e Sud-Est (alta valle del Calore).
Perillo Taurasi 2013
Doppio paradigma territoriale e stilistico artigiano per Perillo. Uve da Castelfranco Contrada Baiano e Montemarano Contrada Iampenne, tra i 450 e i 580 m s.l.m. A Baiano ci sono terreni arenaceo-marnosi ricchi di fossili marini con matrice calcarea importante, a Iampenne marne argillose con significativa presenza di pietrisco grigio-rossastro. Tante vigne vecchie, fermentazioni di 20-33 giorni poi legni diversi per 3 anni e poi tantissima bottiglia. Naso di agrumi, ciliegie, ribes rosso e nero, mare d’inverno con alghe, humus e ostrica, resine, nota pepata, liquirizia, tostatura di grande legno. Ha tutto il carattere del sud-est con la sua austerità e tutta la sua eleganza possibile. Il tannino è irruento e imponente ma non smette mai di essere saporifero, apportando sapore in ogni momento della bevuta.