Diciamola tutta, l’avvento della nuova tipologia Gran Selezione, ai tempi, non piacque granché a diversi osservatori (incluso il sottoscritto), e neppure a molti addetti ai lavori ( leggasi produttori chiantigiani). Dietro la patina disciplinaresca che gli attribuiva il vertice della piramide qualitativa chiantigiana, ossia il titolo del meglio “più meglio” che c’è, a discapito della storica e nobilissima categoria dei Chianti Classico Riserva, si nascondeva in realtà un obiettivo di natura prettamente commerciale, quello di voler agganciare nei prezzi altre denominazioni ( leggasi Brunello di Montalcino, tanto per restare nelle vicinanze), e per tale ragione ci si è inventati questa nuova tipologia “selettiva” basandone la fisionomia su due o tre aspetti fondanti: vigneti di proprietà ( non importa se ricadenti o meno nel medesimo areale geografico, quindi con totale assenza di un riferimento territoriale), soddisfacimento di certi parametri prestazionali minimi ( titolo alcolometrico, estratto, acidità), tempi di affinamento imposti ( almeno 30 mesi + 3 mesi minimo in bottiglia) e sostanziale libertà di movimento in termini di composizione varietale, che consentiva di unire al sangiovese ( min 80%) vitigni autoctoni od internazionali fino al max di un 20% sul totale.
Tutti tasselli che hanno condotto le aziende che han puntato fin da subito sulla speciale categoria a sposare le ragioni di uno stile presenzialista, che ai più è sembrato ricordare manco tanto velatamente certe fattezze proprie dei Supertuscan wines. Insomma, il Supertuscan che esce dalla porta per rientrare dalla finestra, con l’effetto di infarcire la produzione classica chiantigiana di esponenti dietro la cui forza estrattiva, la saturazione cromatica, la morbidezza tattile e le spezie del rovere facevi fatica a riconoscerne il mandato territoriale, quasi a disattendere una delle reali armi a disposizione per emergere nel consesso nazionale ed internazionale. Una prova di forza che è parsa più una esibizione di stile, con dietro l’angolo il rischio più che latente di una sostanziale omologazione del gusto.
Poi sono arrivati gli aggiustamenti di tiro, e con gli aggiustamenti la ragionevolezza, ciò che ha conquistato alla causa dei Gran Selezione un numero decisamente maggiore di produttori, anche i riottosi della prima ora, grazie a una rimodulazione della paletta varietale ( sangiovese minimo 90%, con eventuale saldo di soli vitigni autoctoni e radicati, quindi con esclusione degli internazionali) e alla introduzione delle UGA ( unità geografiche aggiuntive), 11 appigli territoriali che attualmente possono essere rivendicati in etichetta solo dai Gran Selezione ( restiamo in fervida attesa acché questa facoltà venga doverosamente estesa anche ai Chianti Classico Riserva e “annata”).
Ed è così che pian piano, ma in modo sempre più avvertibile, stanno conquistando posizioni e visibilità vini dal carattere territoriale più affermato, dove all‘oggettiva difficoltà di destreggiarsi con alti parametri prestazionali, potenziali concause di squilibri nei profili organolettici, fa da contraltare una sempre più affinata sensibilità interpretativa, che si salda con l’esigenza congiunturale di modulare i toni e non calcare la mano per renderne più espliciti il dettaglio, l’articolazione e la bevibilità.
Un obiettivo più facile a dirsi che a ottenersi, ma che non può spaventare di certo il panorama produttivo chiantigiano, quanto mai all’avanguardia sul piano della consapevolezza tecnica e, vivaddio, della sostenibilità dei gesti e dei modi, coadiuvato in questo dalla straordinaria variabilità del “vigneto Chianti“, vero e proprio laboratorio a cielo aperto in grado spesso di controbattere le insidie interne ed esterne riservateci dalla contemporaneità, climatiche e non. Ecco, oggi possiamo ben dire che i risultati si vedono, e che per la categoria dei Gran Selezione sia davvero iniziata una stagione nuova, una stagione finalmente all’insegna della distinzione.
Avviso ai naviganti: la selezione proposta fa riferimento alle uscite sul mercato di quest’anno, che coprono sostanzialmente tre millesimi ( 2019, 2020, 2021). L’ordine di apparizione non segue quello della predilezione personale, bensì le regole dell’alfabeto.
RIECINE – CHIANTI CLASSICO GRAN SELEZIONE VIGNA GITTORI 2021
Vigna Gittori si conferma un cavallo di razza, anche a fronte di un’annata più insidiosa rispetto alle precedenti 2019 e 2020, perché non dismette gli abiti eleganti per ricomporsi secondo un disegno segnato dalla carnosità del frutto (e da una certa pienezza) ma reso seducente dall’anima floreale che fa da sfondo. Di implacabile definizione e deciso allungo, succoso e croccante, trascinante e futuribile, nel richiamare sinceramente Gaiole “alta” e il suo grande potenziale, corre dritto alla mèta.