Abbiamo deciso di tornare su uno dei vini di cui ci siamo già occupati in uno dei primi numeri del magazine. Il primissimo, in effetti: la degustazione completa dell’Onirocep di Pantaleone risale al 18 maggio 2021, in cantina con Jacopo Cossater ad assaggiare c’erano Sara Boriosi ed Emanuele Tartuferi. Report poi pubblicato sul n. 0 uscito l’autunno di quell’anno.
È stato bello ritrovare Federica Pantaloni di Pantaleone e Sara Boriosi proprio nel suo locale, il Venti Vino a Perugia, per una verticale. Era la fine di luglio e tutti insieme abbiamo assaggiato 5 annate dell’Onirocep, tra cui la 2021 e la 2023, entrambe non presenti nell’articolo di allora. L’occasione è quindi buona per riprendere in mano il racconto di questo bianco così interessante prodotto poco fuori il centro abitato di Ascoli Piceno, nelle Marche.
A presto,
Jacopo, Matteo, Nelson
Il Falerio Pecorino Onirocep di Pantaleone – A cura di Jacopo Cossater
Se è il Verdicchio nelle sue diverse declinazioni geografiche il vino più rappresentativo delle Marche è vero che negli ultimi anni il Pecorino ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più importante. Non un protagonista, le luci della ribalta forse non gli appartengono, ma un comprimario di grande valore anche grazie al lavoro che è stato portato avanti da un pugno di cantine negli ultimi 10/15 anni, soprattutto nel Piceno. Realtà che anche grazie a una sempre maggiore esperienza sono riuscite a trovare per il Pecorino marchigiano un’identità molto chiara seppur con le dovute e sacrosante differenze stilistiche e, in parte, territoriali.
Un vino bianco che, specie quando interpretato con intelligenza e un po’ di ambizione, riesce sempre di più a smarcarsi dalle logiche di un mercato costantemente alla ricerca del vino più fresco, della vendemmia più recente. Non è un caso che i Pecorino più interessanti siano quelli che non rincorrono la data di messa in commercio e al tempo stesso quelli che è ancora possibile trovare sugli scaffali delle enoteche a distanza di almeno un anno dalla vendemmia, se non di più.
Tre anni fa sul n. 0 di Verticale attaccavo così, introduzione che è facile rilanciare perché in effetti, credo, sempre attuale e rappresentativa dell’attuale panorama produttivo. Ed è in questo contesto che nasceva l’interesse nei confronti dell’Onirocep di Pantaleone, Pecorino che non si trova all’interno dell’areale della Docg Offida per una manciata di chilometri (circa 3 in linea d’aria, cosa che lo fa uscire dal 2012 come Falerio Doc) ma che a tutti gli effetti per la qualità che esprime può essere considerato vino appartenente a questo specifico distretto produttivo: è qui e in particolare nelle zone più interne della denominazione, non quelle più basse e calde che si affacciano sul mare, che nascono i migliori Pecorino regionali. Vini in grado di stupire tanto per struttura (il pecorino è vitigno capace di accumulare una buona quantità di zuccheri) quanto per intensità (e qualità) del sapore. Vini bianchi piuttosto profumati che si caratterizzano anche per la spiccata acidità, peculiarità che aiuta a definirne la fisionomia.
«La prima annata dell’Onirocep è la 2008», racconta Federica Pantaloni, con la sorella Francesca alla guida della cantina che prende il nome dal Fossato che taglia la vallata sottostante la cantina, Pantaleone. «Un vino che nasce un po’ controcorrente, allora non era ovvio decidere di piantare pecorino a 450 metri di altitudine, dove siamo noi. Una cosa che abbiamo sentito di fare in quanto sappiamo bene che si tratta di vitigno di montagna».
A questo proposito ecco alcuni appunti che mi aveva mandato Matteo Gallello proprio in vista della scrittura di quell’articolo, nel 2021: «Il Pecorino è un vitigno antico e solo nell’ultimo ventennio è stato reimpiantato in maniera significativa, d’altronde era stato pressoché abbandonato fino agli anni ottanta. Le sue origini sono incerte, sospese tra storia e leggenda, oggi siamo sempre più convinti che la sua culla si trovi nei pressi di Arquata del Tronto, zona pedemontana tra Marche e Lazio, in provincia di Ascoli Piceno. Questo vitigno, diffuso in tutta la zona fino alla fine dell’Ottocento, è stato sostituito da varietà più produttive come Trebbiano e Passerina. Solo di recente si è verificato un forte interesse sfociato, poi, nell’ambizione di concepire un bianco importante, magari da invecchiamento. Negli ultimi anni si è cercato di regolare questioni relative, più che altro, all’etichettatura: a partire dalla vendemmia 2011 l’Offida Pecorino è stato promosso a Docg con la conseguente creazione della Doc di ricaduta Falerio Pecorino, mentre in Abruzzo è entrata in vigore la Doc Abruzzo Pecorino che riguarda tutto il territorio regionale».
Continua Federica: «ci siamo resi conto della sua vocazione grazie a fattori come i terreni, l’esposizione ma soprattutto la grande escursione termica che la nostra zona vive tra il giorno e la notte. Questa porta a un’aromaticità più spiccata che altrove. Le nostre rese sono basse, intorno a 50 quintali/ettaro, da sempre lavoriamo con raccolta manuale in cassetta, è il nostro modo di portare in cantina uve più salubre possibili». Niente da aggiungere rispetto a quanto già raccontato nel pezzo su Verticale n. 0: la vinificazione è sobria, in acciaio con lieviti neutri, dopo la fermentazione il vino rimane a lungo sulle sue fecce, per circa 6 mesi, prima della svinatura e del successivo e quasi immediato imbottigliamento. C’è molta convinzione, oggi più che mai, sulle potenzialità del Pecorino sulla distanza: «dal 2018 abbiamo iniziato a mettere da parte un numero sempre maggiore di bottiglie da proporre anche a distanza di anni, che vendiamo insieme all’annata corrente per chi vuole toccare con mano le sue potenzialità evolutive».
Ancora Matteo Gallello sugli abbinamenti. «La struttura del Pecorino ha bisogno di piatti saporiti della costa adriatica e dell’entroterra. Anche le versioni più leggere dialogano con la robusta cucina marchigiana e abruzzese. Infatti sono capaci di custodire sia la croccantezza della frittura che l’umido di pesci tipici del fondale adriatico, come sogliola e nasello, con cui è possibile anche condire la pasta. Bene anche su densi passati di verdura e insalate arricchite con formaggi freschi. Preparazione più complesse, ricche zuppe a base di cereali e legumi, molluschi e frutti di mare conditi senza troppa dovizia, sono il campo d’azione di vini più articolati e corposi», come l’Onirocep di Pantaleone.
La degustazione
30 luglio 2024, Venti Vino, Perugia. Le note sui vini sono di Nelson Pari, Matteo Gallello e Jacopo Cossater, quelle sulle annate di Federica Pantaloni. In rosso, in evidenza, le annate più significative per la qualità assoluta dei vini.
2013
Federica – Annata spettacolare, sia a livello climatico che agronomico, tutto è stato perfetto. Un’annata ideale.
Nelson – Dorato di media intensità. Ruggine e mela cotogna. Melone e ananas. Macedonia. Alcool (da acetone). Buon gioco tra glicine e leggerezza dell’alcool. Acidità molto alta: parte dal fondo, prende la rincorsa, lasciando una sensazione pungente.
Matteo – Arancia matura, note floreali e disidratate. Solare, esprime ricchezza e calore con profumi di cereali e pane tostato. In bocca è ampio e morbido con un’acidità graduale, determinata e continua che ne regge lo sviluppo. Finale acuminato e impreziosito da note speziate e di confettura.
Jacopo – Lo ricordavo molto buono per larghezza, avvolgenza, e lo ritrovo tale. Il più solare, mediterraneo, arioso della batteria. Mi piace molto, ha ritmo e tante sfumature di sapore. Da bere.
2016
Federica – Dire che un’annata è stata facile è sempre rischioso ma nel 2016 tutto ha davvero funzionato alla perfezione. Un’annata fresca ma non fredda, che è venuta fuori soprattutto sulla distanza.
Nelson – Dorato di media intensità. Sapone di Marsiglia, incense e arancia. Terra bagnata e acqua d’ostriche. Inizia con una nota gessosa che scompare lasciando molto spazio alla viscosità del corpo e all’acidità.
Matteo – Naso arcigno sulle prime, poi si apre su note di salvia e limone che fanno da contrappunto a un bel profumo di zagara. In bocca è condotto da un’acidità vibrante e continua; la fibra tesa e consistente ha un’ottima presa e si allunga con un finale agrumato fresco.
Jacopo – Puntellato di note floreali, lo ritrovo anche più buono rispetto alla degustazione di tre anni fa grazie a un’acidità di particolare precisione. Fine, incisivo, lungo.
2018
Federica – Annata di calore e di compostezza.
Nelson – Ananas fresco. Potpourri. Cetriolo e zucchine. L’acidità corre sul palato lasciando note aromatiche più citriche, di limone e lime.
Matteo – Immediatamente espressivo, alterna i classici profumi vegetali e semi-aromatici a un timbro tostato. In bocca ha volume e si avverte una contesa irrisolta, una mancanza di fusione tra la componente glicerica e quella acida; sin troppo evidente la sfumatura vegetale sul finale.
Jacopo – Il più continentale della batteria, emerge una nota verde che lo rende per certi versi irrisolto, meno disteso rispetto ai primi due, più completi e appaganti.
2021
Federica – Molto bene a livello agronomico, sono vini che mi hanno colpito per eleganza.
Nelson – Lascia la parte aromatica per ricercare una complessità neutrale che rende questo vino stranamento molto più espressivo. Erbette e menta. Vaniglia e buccia di lime. Il palato rimane dominato dall’acidità. Sarebbe stato un vino ancora più buono con un passaggio in barrique.
Matteo – Intonazione fresca, verso note floreali e di erbe aromatiche, di menta e anice, a mela verde e frutto della passione. In bocca si presenta con una freschezza immediata e tesa nonché una certa pulizia dei profumi con un finale sapido e balsamico piuttosto persistente.
Jacopo – La dimostrazione di quanto vini come questo necessitino di almeno un paio d’anni per guadagnare in completezza e generale espressività. Fresco e al tempo stesso ben bilanciato anche grazie a una piacevole nota appena più calda, che accompagna il sorso verso un finale sapido e lungo, sull’agrume.
2023
Federica – Annata difficile per le tante piogge ma che il pecorino ha affrontato bene, dimostrando tutta la sua tenacia: meno quantità ma tanto equilibrio
Nelson – Asparago, asparago, asparago. Sembra un Sauvignon Blanc della Nuova Zelanda. Ananas e chili. Sul palato ha un sapore amaro e bitter.
Matteo – Linfatico, lieve sentore di frutta esotica. Non è (ancora) molto dinamico e variegato e, con il passare dei minuti, emerge una pungente nota di ginepro distillato e profumi di cipria. In bocca l’acidità è immediata e, in generale, il vino presenta una buona materia ma lo sviluppo gustativo è ancora in formazione.
Jacopo – In divenire. Compresso su note bianche, ha chiaramente bisogno di tempo per esprimere tutto il “giallo” che lo caratterizza anche solo dopo 18/24 mesi. Dimostra però stoffa, il centro bocca ha il giusto peso, finale appena vegetale.