Il ritorno dei “vini del mese e delle libere parole” non può fare a meno dello storico cappello introduttivo, da cui tutto ha preso forma, e quindi eccolo qua.
Di questa rubrica il titolo è parzialmente (volutamente) ingannevole e apparentemente (volutamente) scontato. Perché in realtà non c’è niente di classificatorio né di irreggimentato qui, nemmeno le parole. Con cadenza mensile – unica concessione all’ordine- mi piacerebbe riannodare le fila dei tanti vini bevuti e non rientranti nell’involucro protettivo di un racconto, di una rassegna, di un viaggio o di un incontro con il produttore.
Attenzione, ho detto bevuti, non degustati. E questo fa una certa differenza! Sono infatti i vini “partecipati”, vissuti e onorati secondo il rituale pagano più credibile di sempre. Nel mio caso i contesti condivisi, obbligatoriamente condivisi, quelli che possono nutrire i ricordi e smuovere emozioni, permettendosi le libere parole.
I vini di cui parleremo non sono per forza di cose il meglio che c’è, ma sono ciò che ho incontrato: sono stati semplicemente la mia compagnia, il “secondo sangue della razza umana” di deamicisiana memoria. Insieme ai luoghi, agli amici e agli umori. Di tutta questa parvenza di socialità sono stati il tramite, spesso il motore primo. Mi conforta immaginare che possano esserlo anche per chi ne leggerà.
Il Guercio 2022 – Tenuta Carleone
L’enologia di Sean O’ Callaghan, talentuoso vinificatore e grande cacciatore di vigne ormai naturalizzato chiantigiano, è scevra di interventismo. Non fa uso di enzimi, coadiuvanti e lieviti selezionati. Predilige lunghe, quando non lunghissime, macerazioni a cappello sommerso, sporadiche dinamicizzazioni dei mosti e dei vini, qua e là una certa percentuale di grappolo intero, l’uso di vasi vinari non convenzionali.
E’ ciò che accade a Il Guercio, Sangiovese d’alta quota affinato esclusivamente in cemento, che altro non fa se non riformulare nuovi paradigmi. La versione 2022, in barba all’annata insidiosa, con la sua trama intessuta a macramé e l’impalpabile levità, esprime e dilata un concetto di finezza che spieghi persino male a parole, restituendoti l’idea che dentro quella bottiglia vi si celi un dono prezioso.
Un vino sollevato, che sussurra e sfiora. Questo è. A quella luce interiorizzata, a quella naturalezza disarmante e magnificamente disadorna, io non so resistere.