Valorizzare vitigni autoctoni o radicati, comunque la si veda, è una figata. Da ogni punto di vista, da quello del produttore a quello del fruitore/consumatore. Per non parlare di quello di un narratore o di un cronista. Se poi si tratta di vitigni storicamente vissuti nel cono d’ombra di altri più esplorati, più esperiti, e quindi più noti, questa circostanza ha la particolarità di rendere ancor più esplicita la dose di coraggio del viticoltore che ha scelto quella strada (talvolta in esclusiva), e sottintendere spesso un’idea fattuale e laicamente santa di preservazione e salvaguardia di vecchi patrimoni viticoli, che altri non sono se non storia di un’appartenenza e di una comunità agricola, oltre che cultura del territorio.
Eppoi perché costituisce una spinta forte a differenziarsi, a sperimentare altre strade, per riqualificare vitigni antichi con una consapevolezza nuova, vuoi per accresciuta sensibilità di interpreti, vuoi per acquisite conoscenze tecniche. Il surplus di attenzioni ( e di investimenti in termini di ricerca, sviluppo, mantenimento), richieste al vitivinicoltore per governare i processi riguardanti varietà alle quali magari non si è più avvezzi, non può che ingenerare encomio massimo e gratitudine, comunque vada. Di certo ne possono scaturire delle meraviglie: è già successo, succederà ancora.
Così, per dare voce a un fermento a cui la Toscana per nostra fortuna ci sta abituando, abbiamo deciso di puntare i riflettori della curiosità su alcuni rossi e rosati toscani a loro modo distintivi, espressioni in purezza di vitigni autoctoni a bacca nera, dai più rari ai più frequentati, e che non siano il sangiovese.
Ciliegiolo, canaiolo, malvasia nera, barsaglina, pòllera, pugnitello, sanforte, colorino, mammolo, boggiòne e aleatico incrociano ed inglobano esperienza agricole, storie contadine e interi pezzi di territorio, in un esaltante rimbalzo fra antico e moderno, nel ricordo di una viticoltura arcaica, o comunque pionieristica, giù giù fino alla contemporaneità e alla piena consapevolezza. Sono loro i reali protagonisti di questo piccolo affresco, che ha inteso mettere assieme alcune referenze di recente uscita sul mercato provenienti dai più svariati distretti agricoli regionali.
Sono risorgive, riaffioramenti preziosi, testimoni ispirati di antiche consuetudini portate in emersione da viticoltori coscienziosi. Mettono il cuore oltre l’ostacolo, e tratteggiano altre strade, altre possibilità. E’ bello poterle percorrere, così come è bello poterle raccontare.
ANTONIO CAMILLO (Manciano, GR)
Ciliegiolo 2023
Nel suo ardore perdutamente passionale di vignaiolo-etnologo, alla costante ricerca di antiche vocazioni magari ancora non pienamente espresse che siano legate a vitigni mediterranei acclimatatisi da tempo nella sua Maremma, Antonio Camillo ha fatto del Ciliegiolo il suo vessillo, anche se oggi non più esclusivo. A questo vino-vitigno ha restituito visibilità e dignità, ma soprattutto una riconoscibilità individua, forse il dono più grande.
Per una volta dedichiamo un piccolo spazio non tanto al Vallerana Alta, su cui Antonio ha costruito la propria reputazione, quanto alla versione d’annata, che della vendemmia 2023, checchennedicano le complicanze climatiche, ci restituisce fragranza e dinamismo, incise sottopelle in un profilo speziato, fresco, salino, ancora un po’ nervoso nell’apparato tannico, ma che esplicita limpidamente un’innata attitudine gastronomica.