Per l’incontro con Antonio Camillo la Maremma si era vestita a festa: prati di un verde smeraldo cangiante, sole luminoso e addirittura torrenti, di solito in secca, dove l’acqua aveva ripreso il suo posto. All’interno di questo quadro bucolico il giro tra le vigne di Antonio, che oramai da 10 anni si sta proponendo come produttore-ricercatore, con vini di una notevole chiarezza espressiva, ha assunto ancor più interesse.
Ho scritto produttore-ricercatore perché Antonio le “sue” vigne le va a cercare per la Maremma come un cane da tartufi: fiuta da lontano quelle magari quasi abbandonate ma con viti vecchie e in posti interessanti e poi le affitta e inizia a lavorarle, oppure affianca i titolari nei principali lavori. Tra le “sue” vigne ci sono delle vere e proprie chicche, come quella che trovate in questo articolo, ma quasi sempre le vigne del “metodo Camillo” hanno caratteri particolari.
Ero rimasto al suo Ciliegiolo e al Morellino di Scansano (e quindi al sangiovese) ma questo incontro mi ha allargato l’orizzonte a due vitigni presenti da tempo nelle pieghe della viticoltura maremmana ma di solito poco considerati, come grenache e carignano. Due uve che nei vini hanno mostrato caratteristiche assolutamente positive.
Prima dei vini le persone e sono così interessanti come Antonio cerco sempre più di una definizione per incapsularne le molteplici caratteristiche. Così mentre parlava della sua dedizione alla ricerca di vigneti maremmani e agli incontri con grenache e carignano avvenuti a partire dai primi anni del secolo, mi è venuta in mente l’immagine di chi, con costanza e dedizione, ogni giorno, svolge il suo lavoro in maniera metodica. Però il termine “travet” era assolutamente negativo e fuori luogo per la vulcanicità di Antonio, ma è bastato un cambio di vocale ed ecco il termine giusto: Antonio Camillo è il “Trovet” del vino maremmano, l’uomo che trova, scova e spesso riporta in produzione vecchi vigneti e vecchi vitigni. Nella sua ricerca è affiancato da persone molto qualificate come Enrico, ampelografo con cui a “scoperto” due filari di granè alias carignano, o come l’appassionato Maurizio, che mette a disposizione terreno e esperienza per trapiantare una settantina di piante di grenache (chiamato in Maremma anche Tinto di Spagna) da una vigna che sarebbe stata espiantata e distrutta dopo pochi mesi.
A questo punto occorreva capire se il prezioso lavoro di “Trovet” di Antonio Camillo si era trasformato in vini che vale la pena di “trovare sulla propria strada”.
Da ormai molti anni porto avanti una mia teoria sulla somiglianza fisica tra un vino e il suo reale produttore (cioè colui che realmente lo fa in vigna e in cantina) e anche questa volta ho trovato incredibili somiglianze tra Antonio e i suoi vini: tanto Antonio è sempre in movimento, dinamico, reattivo, equilibratamente nervoso tanto i suoi vini sono dinamici, freschi , ma equilibrati. Tanto Antonio non è certo un Golia nel fisico ma sprizza forza da tutti i pori, tanto i suoi vini non sono per niente monolitici e molto corposi, ma comunque ben dotati di forza e profondità. Tanto il carattere di Antonio è, alla fine, dolce, tanto i suoi vini mostrano rotondità e grande piacevolezza. Fuor di confronti fisiognomici la mano di Antonio porta da una parte a vini giovani di grande piacevolezza ma sempre con una buona longevità e dall’altra a vini importanti ma dall’espressione giovanile e dinamica, anche dopo anni di invecchiamento.
Quindi da una parte abbiamo trovato la new entry “Mediterraneo” 2023, cuvée di ciliegiolo, carignano e grenache di ottima beva e corpo ciocciottelo e dall’altra il Tinto di Spagna 2015 che vale il viaggio in Maremma, anche in ginocchio sui ceci: vino di assoluta profondità aromatica e di una setosa e armonica eleganza al palato. Nel mezzo sono stati assaggiati tanti altri vini (n.b. la foto del Tinto di Spagna è dell’ottimo e giovanissimo 2021 perché il 2015 non ha etichetta), alcuni anche bianchi e alla fine il risultato è stato molto soddisfacente.
Ma tra un buon vino e l’altro vorrei farvi notare una cosa: oramai Antonio Camillo, che è un “brand” conosciuto, poteva anche rimanere ancorato al suo Ciliegiolo e al Morellino di Scansano senza mettersi ulteriormente in gioco. Invece ha voluto e vuole continuare nella sua ricerca, proponendo vini da vitigni diversi e con “finiture” diverse. Questo dimostra una propositiva voglia di conoscenza: insomma, il nostro Trovet troverà ancora tante belle vigne e belle uve, ne sono sicuro!