La cospicua carrellata dei Supertuscan tocca oggi la costa. Bolgheri, per la precisione, patria putativa del primo Supertuscan in ordine di tempo, ossia il Sassicaia, rientrato poi nei ranghi di una specifica Doc (e quindi non presente in questa rassegna), arricchitasi negli anni di etichette cult molto ambite sui mercati del mondo, e poi la Val di Cornia, che ha in Suvereto il suo epicentro e che pare abbia finalmente trovato una compagine di aziende in grado di cambiare un attimino le carte in regola, sia in termini di messa a fuoco stilistica che di misura espressiva, tenuto conto che nella maggior parte dei casi si ha a che fare con un terroir “selettivo”, che spinge molto sugli alti parametri.
E proprio a fronte dell’indole mediterranea di queste terre, dove generosità, ricchezza, calore e avvolgenza alcolica possono costituire le voci fondanti, il rilievo più significativo che mi vien da fare sta proprio nella capacità interpretativa che va segnando la contemporaneità, in cui ci si riesce a muovere bene sia pur nelle difficoltà climatiche che di per sé porterebbero a un connaturato eccesso alcolico e/o estrattivo nei vini.
Certamente materia e robustezza non mancano, e l’attitudine generale porta a pensare a vini di prospettiva, soprattutto se e quando colti in giovane età; ma in tutti quei casi in cui a brillare sono l’integrità del frutto e la giustezza tannica (sia pur a fronte di tenori acidi raramente in rilievo) intravvediamo il barlume di una espressione nuova, meno mediata dalla confezione, dai pruriti estrattivi e dai legni, per ritrovare così un disegno più limpido e una beva più agile. Riuscirci, nonostante le condizioni al contorno, non è affatto scontato e non è affatto semplice, e per questo il plauso agli estri è ancor più sentito.
Ovviamente sono i vitigni foresti i protagonisti principali di queste storie, cabernet franc in testa, ma anche syrah, petit verdot o la classica paletta bordolese. Coinvolgono etichette blasonate e scommesse nuove, dove non mancano le sorprese, in senso positivo e non. E ci sono pure esponenti costieri a base sangiovese, in qualche caso in grado di sfatare il luogo comune della inadeguatezza territoriale per proiettarci dentro un orizzonte gustativo di sincera gradevolezza.
LE MACCHIOLE – SCRIO 2020 (syrah)
Ottimo dettaglio aromatico, fondato su una timbrica speziata e floreale, e poi scioltezza e nitidezza sul palato, a mostrare il lato più elegante e irresistibile della varietà. Una goduria.
LE MACCHIOLE – PALEO ROSSO 2020 (cabernet franc)
Caffeoso, cospicuo, di materia fitta e soda, il rovere vi si infiltra ma l’integrità e la succosità del frutto sono punti fermi.
LE MACCHIOLE – MESSORIO 2020 (merlot)
Terroso, profondo, di grande complessità e apprezzabile sobrietà espressiva, si slancia bene in un finale segnato dalla sapidità.