PALETTE
Splendore misconosciuto di Provenza. Solo 50 ettari di vigneto che racchiudono tre tipologie e ventisette diversi vitigni. Vini di grande storia, fascino e bellezza, a partire da Château Simone.
CHÂTEAU SIMONE
Siamo nel tardo Medioevo. René, duca d’Angiò e conte di Provenza è proprietario di tenute nella valle del fiume Arc, nei pressi di Aix, i cui vini si fregiano già di una considerevole rinomanza. Un secolo dopo, nel Cinquecento, i monaci dell’or dine dei Grands Carmes sono plenipotenziari della bastide de Meyreuil, prestigioso fondo dove coltivano l’ulivo e soprat tutto la vite.
La loro produzione è tutt’altro che ordinaria, se è vero che si sono sfiancati a scavare nel sottosuolo calcareo una profonda cantina interrata, dove il loro nettare può invec chiare in un ambiente protetto. Nel 1552 queste impressionanti gallerie servono già da riparo alle botti, ricoprendo così una funzione che svolgeranno ininterrottamente per altri cinque secoli. Dopo la Rivoluzione la bastide – divenuta frattanto do maine de la Simone, mutuando il nome della proprietaria che l’aveva rilevata dai monaci – passa nuovamente di mano alla famiglia Pascalis, prima di essere acquisita da NicolasTous saint Rougier, nel 1830.
All’epoca il vigneto consta di otto ettari, ma la nuova proprietà inizia a espanderne gradualmente la superficie, con diverse acquisizioni tra il 1838 e il 1896. A fine Ottocento il domaine, che ha frattanto arricchito il patri monio architettonico dei monaci con un castello realizzato in stile neorinascimentale, è diventato Château Simone, e inizia a vendere il proprio vino in bottiglia. È un’evenienza così rara, in Provenza come altrove, da meritare di adornare le etichette con la menzione Grand cru, all’epoca lasciata all’autodiscipli na1. A NicolasToussaint succedono Auguste, poi Albert, che struttura meglio la commercializzazione, infine Jean, fautore del riconoscimento dell’Aoc nel 1948. Il figlio di Jean Rougier, René, proseguirà l’opera dei suoi predecessori con altrettanta passione, pari rigore e un profondo attaccamento alla tenuta di famiglia. Oggi René, ultranovantenne, continua ad amare la Simone, e a contribuire simbolicamente alla potatura. Suo figlio Jean-François, con la moglie Florence e le loro due fi glie, mantengono saldamente, dopo sette generazioni, le redini dello château, assicurandone continuità, tradizione, statura e qualità dei vini.
UN TRITTICO DELLE MERAVIGLIE
Château Simone produce sei etichette: tre palette e tre Igp Vin de Pays des BouchesduRhône. Questi ultimi, chiamati “Les Grands Carmes”, sono ottenuti da appezzamenti esterni all’appellation Palette e hanno la vocazione di vini più pronti, da bere sul frutto. Se il rosato e il rosso ricalcano l’assem blaggio degli omologhi palette, il bianco è connotato dal contributo del viognier.
La parte del leone la fanno tuttavia i tre leggendari palette. Hanno in comune, oltre alla classe innata, la formidabile capacità evolutiva. Altri tratti comuni di tutte e tre le cuvée sono la complessità ampelografica dell’assemblaggio, non ché l’età delle viti, ampiamente al di sopra del mezzo secolo e, per alcune di esse, venerabile: i ceppi più vecchi tuttora in produzione furono piantati nel 1891, all’epoca delle prime bottiglie etichettate! La conduzione agronomica ha sempre escluso prodotti di sintesi.
Il terreno argillosocalcareo, compreso tra 150 e 250 metri d’altitudine, gode in gran parte di una benefica esposizione a nord, che rende possibili vendemmie relativamente tardive e preserva la freschezza di uve e vini anche nelle annate calde. Quello che fino ad alcuni decenni or sono poteva essere considerato un piccolo neo, con il surriscaldamento globale si sta rivelando un asso nella manica.
Tutti i vini sono fermentati con lieviti indigeni e subiscono malolattica spontanea; nessuna chiarifica enologica ma solo una blanda filtrazione.
Il palette rosso è stato a lungo un vino un po’ ruvido e austero, talora criticato per una certa magrezza. L’élevage di due anni in botte grande è stato abbreviato in 8 mesi più un anno di barrique, e ne fa una bottiglia rigorosa, che dà generalmente il meglio di sé dopo una decina di anni di bottiglia. È prodotto con grenache (45%), mourvèdre (30%), cinsault (5%) e un saldo composto da syrah, castet, manosquin, carignan e vari ecotipi di muscat. Il millesimo 2019, attualmente in vendita, è ancora un po’ marcato dal rovere ma dimostra molta stoffa e materia. Da stappare oggi è l’annata 2011, complessa, fine, speziata ed espressiva.
Il palette rosé (frutto dello stesso articolato assemblaggio del rosso), è ottenuto per lenta pressatura idraulica verticale con diraspatura parziale, completato da un po’ di salasso dei rossi. L’affinamento avviene sulle fecce fini in botte grande. La vinosità, la sapidità, la grassezza e la qualità degli amari ne fanno un delizioso rosato di carattere e autentica statura, capace di invecchiare molti anni, superando la logica della mera conservazione ma esprimendo complessità.
Il palette bianco rappresenta oggi il 50% della produzio ne, e si è imposto negli anni come il vino iconico di Simone. Nasce da vecchie viti di clairette (80%), il vitigno bianco provenzale per eccellenza, aggiunto di grenache blanc (10%), bourboulenc (5%), ugni blanc (3%) e vari tipi di moscato. La pressatura idraulica verticale è lentissima. La vinificazione avviene in botte grande (dove fermenta e svol ge la malolattica) per il primo anno, poi in barrique per altri 12 mesi. Vino untuoso, profumato, di cesellata definizione, dai tratti aromatici puri e soavi, non si distingue per la sola struttura, ma anche per la formidabile capacità evolutiva, inattesa in un bianco mediterraneo. Ho avuto la fortuna di partecipare a una storica verticale dei millesimi 2019, 2017, 2015, 2013, 2011, 2008, 2005, 2003, 2001, 1998, 1991, 1986, 1981, 1979 e 1973. Se le annate più vecchie, un po’ in affanno per motivi di conservazione ma forse anche per una materia prima non paragonabile all’attuale maturità delle uve, non andavano oltre una pregevole testimonianza storica, il ‘91, il ‘98 o il 2001 si trovavano in uno stato di grazia che offriva complessità, profondità, smalto, armonia e rimandava a data da destinarsi il declino finale. L’annata 2020, uscita da poco, è screziata di una balsamicità con note di cera e frutta candita; in bocca è tesa, profonda, lunghissi ma. Uno dei grandissimi vini bianchi di Francia.
CHÂTEAU SIMONE | Siamo nel tardo Medioevo. René, duca d’Angiò e conte di Provenza è proprietario di tenute nella valle del fiume Arc, nei pressi di Aix, i cui vini si fregiano già di una considerevole rinomanza. Un secolo dopo, nel Cinquecento, i monaci dell’or dine dei Grands Carmes sono plenipotenziari della bastide de Meyreuil, prestigioso fondo dove coltivano l’ulivo e soprat tutto la vite. La loro produzione è tutt’altro che ordinaria, se è vero che si sono sfiancati a scavare nel sottosuolo calcareo una profonda cantina interrata, dove il loro nettare può invec chiare in un ambiente protetto. Nel 1552 queste impressionanti gallerie servono già da riparo alle botti, ricoprendo così una funzione che svolgeranno ininterrottamente per altri cinque secoli. Dopo la Rivoluzione la bastide – divenuta frattanto do maine de la Simone, mutuando il nome della proprietaria che l’aveva rilevata dai monaci – passa nuovamente di mano alla famiglia Pascalis, prima di essere acquisita da NicolasTous saint Rougier, nel 1830. All’epoca il vigneto consta di otto ettari, ma la nuova proprietà inizia a espanderne gradualmente la superficie, con diverse acquisizioni tra il 1838 e il 1896. A fine Ottocento il domaine, che ha frattanto arricchito il patri monio architettonico dei monaci con un castello realizzato in stile neorinascimentale, è diventato Château Simone, e inizia a vendere il proprio vino in bottiglia. È un’evenienza così rara, in Provenza come altrove, da meritare di adornare le etichette con la menzione Grand cru, all’epoca lasciata all’autodiscipli na1.
A NicolasToussaint succedono Auguste, poi Albert, che struttura meglio la commercializzazione, infine Jean, fautore del riconoscimento dell’Aoc nel 1948. Il figlio di Jean Rougier, René, proseguirà l’opera dei suoi predecessori con altrettanta passione, pari rigore e un profondo attaccamento alla tenuta di famiglia. Oggi René, ultranovantenne, continua ad amare la Simone, e a contribuire simbolicamente alla potatura. Suo figlio Jean-François, con la moglie Florence e le loro due fi glie, mantengono saldamente, dopo sette generazioni, le redini dello château, assicurandone continuità, tradizione, statura e qualità dei vini.
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Fonte: Samuel Cogliati - Viniplus, maggio 2023