Terre di Vite 2022, che si è svolto il 22 e 23 ottobre a Bomporto (MO), nelle splendide sale di Villa Cavazza, è stata un’occasione per tornare a fare due chiacchiere con una mia vecchia conoscenza, Pier Paolo Antolini, sullo stato dell’arte della Valpolicella. La storica regione vitivinicola della provincia di Verona ha subìto, a partire dalla fine del secolo scorso, un vero e proprio stravolgimento d’immagine. Il progressivo interesse del mercato estero nei confronti dell’Amarone, ha spinto un gran numero di aziende a investire sempre di più nella produzione di questo famoso vino a scapito del Valpolicella, purtroppo anche impiantando viti in zone non proprio vocate; per quanto riguarda quest’ultimo si è puntato maggiormente alla versione “Ripasso”.
E infatti, se confrontiamo i dati forniti da quell’eccellente sito di Marco Baccaglio che si chiama “I numeri del vino“, scopriamo che dal 2016 al 2020 le produzioni di vino in ettolitri dell’Amarone e del Valpolicella Ripasso sono in aumento (Amarone da 98mila a 130mila, Ripasso da 154mila a quasi 225mila), mentre quelle del Valpolicella sono in diminuzione (da 214mila a 148mila). Questo processo ha finito per spostare l’immagine del territorio sui vini più corposi e morbidi (ma anche fortemente alcolici); la domanda sorge spontanea: sono questi i parametri che identificano la tradizione del vino in Valpolicella? La risposta è, a mio avviso, un no perentorio, esattamente come non lo è lo Sforzato in Valtellina.
Questa deriva rischia davvero di cancellare un vino che ha radici lontane e una bevibilità e piacevolezza che ha pochi eguali. Certo, il Valpolicella annata non sarà mai un vino complesso e longevo, ma per questo esiste il “Superiore”, “Classico” ancora meglio, un vino che senza bisogno di ripassi o appassimenti ha parecchie cose da dire e si presta molto meglio ad accompagnare la nostra cucina quotidiana, senza mai stancare chi ne beve un buon bicchiere. Un esempio lampante è proprio il Persegà, di cui vi avevo già raccontato in passato, che nella versione 2020 mi è parso davvero in gran forma e con un timbro esemplare per ricordarci che in questa fantastica zona che si fregia di vitigni come corvina, corvinone, rondinella (e in alcuni casi anche molinara, oseleta, croatina ecc.), non è necessario puntare sull’appassimento per ottenere un grande vino, ma al contrario che questo va preservato e mai dimenticato, non a caso in etichetta la prima parola è “Valpolicella”. Scendendo nel dettaglio i profumi richiamano un frutto avvolgente, ciliegia, marasca, amarena, guizzi d’arancia rossa, poi mirto e ginepro, non senza qualche slancio floreale di geranio e rosa. In bocca dimostra di avere struttura e un apporto di freschezza e tannicità che rendono il sorso elettrizzante, restituendo un frutto croccante e sfumature pepate e di liquirizia.
Un vino così, 14 gradi alcolici, a tavola rischia di finire senza che neanche ve ne accorgiate… Sfiora la quinta chiocciola.
Fonte: Lavinium.it