Se “pioggia e sole cambiano la faccia alle persone” (cit.), lo stesso può ben dirsi per i vini. Perché è stata proprio un’alternanza ostinata e algebricamente esatta di pioggia e sole a caratterizzare l’annata 2018 a Montalcino, e dunque a condizionare le scelte agronomiche, a stimolare le immancabili differenze interpretative e a restituire ai vini una “faccia” per certi versi inattesa quanto diffusa, caratterizzata da un corpo più leggero e da una componente polifenolica meno importante del solito, al punto che in molti casi, a sorprenderti, è stata proprio l’assenza di “gradino” tannico.
Prova ne sia che dopo ben 180 Brunelli ’18 smazzati serialmente nel corso dell’ultimo Benvenuto Brunello svoltosi qualche giorno fa a Montalcino, lo smalto dentale appariva appena intaccato da sopportabili opacizzazioni, e la bocca inaspettatamente priva di quelle contrazioni gengivali che a cose normali gli avrebbero fatto assumere la smorfia di Rambo dopo una giornata nella giungla vietnamita.
E’ una rilassata armonia a permeare di sé i Brunello 2018, questo è, e una “esilità” costitutiva ( cerchiamo però di intenderci sul termine esilità, qui rapportato allo standard dei vini di Montalcino) attorno alla quale fluttuano e si muovono tutti i chiari e tutti gli scuri del caso.
Sul fronte dei “chiari” ci stanno l’armoniosità e la sottigliezza, doti non così frequentemente rintracciabili nei Brunello còlti in giovane età; e quindi, nei casi più risolti, l’eleganza e il garbo espositivo, con il sorso a portare d’istinto alla complicità.
Sul fronte degli “scuri” riscontriamo invece una generalizzata latenza di densità e di polpa a centro bocca, e quindi una certa discontinuità gustativa, con un malcelato rischio in termini di bilanciamento delle varie voci, dal momento in cui è proprio la struttura più sottile a portare in emersione l’alcol, ossia la percezione pseudo-calorica, a mio modo di vedere l’aspetto più presente e più insidioso riscontrato nei campioni in assaggio.
E se il tannino in generale non fa la voce grossa (pochi i campioni nei quali la consistenza tannica abbia trasmesso un’idea di tridimensionalità e di stratificazione), la difficoltà a gestire una annata come la 2018 la si può evincere anche dalla presumibile diversità di approccio nel vigneto e di scelta dell’epoca vendemmiale. Con alcuni produttori stimolati a scoprire i grappoli, anziché a proteggerli, per contrastare l’insidiosa umidità, e quindi a prendersi qualche rischio a fronte del potenziale “calorico” agostano, per approdare verosimilmente a vendemmie un po’ anticipate, ed altri ad avventurarsi in una raccolta più in là nel tempo, fino addirittura a scavallare a ottobre, per scansare gli effetti immediati di certe piogge settembrine.
Fatto sta che non sono rari i casi in cui sull’altare della freschezza gustativa sia stata sacrificata una frazione di maturità fenolica, scoprendo un rilievo più rugoso nella trama tannica, e questo per sottolineare come, al di là dei versanti in gioco, le scelte effettuate in campo possano essere state in grado di fare la differenza.
Alla luce di queste considerazioni sorge spontanea la domanda delle domande, riguardo il principale atout su cui è basata la comunicazione e la nomea della prestigiosa denominazione, ossia la capacità di invecchiamento del Brunello di Montalcino. La grande domanda – e la grande incognita- è se le supposte caratteristiche siano tali da far pensare alla 2018 come a un’annata longeva.
Ora, dagli elementi emersi in questa prima fase della parabola evolutiva, la propensione sembrerebbe tuttalpiù (e non per tutti) quella della media gittata, perché i vini in generale appaiono di già straordinariamente pronti, dall’indole concessiva, e badate bene che stiamo parlando di vini freschi freschi di imbottigliamento, che approderanno sui mercati solo dal gennaio ’23.
Quindi i più ostinati “pungolatori” critici potrebbero chiedersi se si tratterà o meno di Brunello di serie A, dal momento in cui il principale mandato affidatogli, reale fondamento di unicità, ossia quello della “presunzione di longevità“, rischia di essere tradito dagli esiti.
D’altronde, che gli andamenti climatici stagionali dicano la loro con autorevolezza fa parte dell’ordine naturale delle cose, e può esserci pure di conforto, visto che si sta parlando pur sempre di frutti della terra, certo è però che i chiari di luna sul fronte dei prezzi, nel segno di un costante (sensibile) incremento indipendentemente dalla qualità dell’annata in gioco, stanno allontanando sempre più l’orizzonte “brunellico” da una fruizione generalizzata, per indirizzarla con assoluta decisione verso fasce di consumatori che ancor prima della passione dispongano di portafogli adeguatamente gonfi.
Insomma, se l’accresciuto valore economico di un prodotto sul mercato è un’indiscutibile fonte di orgoglio per chi quel prodotto lo ha fatto nascere e per il territorio da cui proviene (ma le tentazioni speculative sono dietro l’angolo, e non è un bel vedere), l’etica, la ragionevolezza e il giusto peso sembrano ormai dei puntini lontani, amara constatazione che non riguarda soltanto Montalcino, ovviamente.
Ma forse la mia è solo invidia di consumatore, coltivata nella perenne illusione di non volermi assoggettare alla logica implacabile (perversa?) della domanda e dell’offerta, che mi provoca istintivamente pruriti interiori. A far male, in fondo, è la consapevolezza di non potersi più permettere certi vini, il ritrovarsi testimoni impotenti di una perdita affettiva lacerante, per un qualcosa che prima era ancora possibile, e che da domani non lo sarà più.
Osservare l’inevitabile distacco da una antica frequentazione ad alto tasso di coinvolgimento emozionale: questo il reale struggimento.
CASTELLO TRICERCHI – BRUNELLO DI MONTALCINO 2018
“Elettrico”, dinamico, sfumato, succoso, affusolato, ecco un Brunello tutto da bere, ed ecco un ottimo conseguimento, che ribadisce la fisionomia proporzionata e disinvolta già avvalorata dalle più recenti versioni.
Fonte: Pardini - AcquaBuona.it