Che emozione essere di nuovo qui, tra i banchi della Leopolda. Arrivato a conclusione di una degustazione di più di 200 vini in due giorni, quasi solo nel padiglione fieristico al termine della manifestazione, passo in rassegna la sfilza chilometrica di bottiglie in mezzo alla sala, osservo il vessillo storico che svetta sul fondo della sala, e mi domando se esiste un modo di spiegare cos’è il Chianti Classico in poche parole. Ci penso, ci ripenso e mi rendo conto che, in fin dei conti, i vini assaggiati oggi sono la condensazione di tutto ciò che ha reso grande il brand Toscana nel mondo. Sono sfondi di dipinti rinascimentali in versione liquida, estratti di roccia e d’argilla, di bosco e di macchia, di luce abbagliante o crepuscolare, di vegetazione ora più brulla, ora più verdeggiante. Ogni buona bottiglia con il Gallo nero sul collo – semplice o ambiziosa che sia – è una cartolina da quello che è stato a più riprese definito “il territorio vitivinicolo più bello del mondo”. Si mette il naso nel bicchiere, si butta giù un sorso e, per un attimo, sembra di essere proprio lì, tra colli, cascine e pievi romaniche.
E’ per questo che vale la pena di tornare sempre a Chianti Classico Collection, evento clou della settimana delle anteprime toscane. E’ una kermesse elettrizzante come poche altre, e non solo per le centinaia di bottiglie in degustazione, per la presenza di professionisti da tutto il mondo, per l’atmosfera fantastica che si crea tra i banchetti, ma anche e soprattutto perché il vino chiantigiano è sulla cresta dell’onda grazie a questa forza evocativa immensa, che va di pari passo con una grande facilità di beva e d’abbinamento. Quest’anno, poi, c’erano due motivi in più per essere febbricitanti: una coppia di annate eccezionali – 20’ e 19’ – e l’introduzione di undici Unità Geografiche Aggiuntive che fanno riferimento a comuni o frazioni di comuni per la tipologia Gran Selezione. “E’ un’idea che viene da molto lontano – spiega il presidente del consorzio Chianti Classico Giovanni Manetti – parlavamo già di sottozone sul finire degli anni 80’ con il mio amico Paolo De Marchi, grande produttore di Chianti Classico, quando andavamo a presentare insieme i nostri vini alle fiere”. Ci sono voluti trent’anni per trovare un compromesso che, ad essere onesti, è stato anche un po’ a ribasso, perché la Gran Selezione è una goccia nel mare della denominazione. Ma siamo tutti convinti che si tratti di un punto di partenza e di non arrivo: saranno gli stessi produttori ad accorgersi dell’efficacia di questa differenziazione e a spingere per l’introduzione delle U.G.A. anche per base e Riserva.
Isole e Olena – 2020
Dall’ U.G.A. San Donato in Poggio
Melagrana e cassis, rosa, cannella. Dolcezza accattivante che va di pari passo con rosmarino e legno arso, cacao e un tocco selvatico. Bocca di materia e d’ampiezza con tannino cesellato, frutto ricco e cremoso sul fondo, e un ritorno balsamico che allieta un finale di grande stoffa. Eccellente come sempre.
Isole Olena
Fragola e cassis, pastiglia alla viola e arancia sanguinella. E’ succoso e suadente, equilibrato, con anima sanguigna di fondo e un tocco d’irruenza tannica in più rispetto al 2019. Difficile scegliere tra i due: sono entrambi meravigliosi.
Fonte: Raffaele Mosca - SommelierLife.it