A 38 anni e due figure ho finalmente scoperto il Chianti Classico. Viaggi, degustazioni, bottiglie sfortunate, ci avevo provato spesso in passato ma non faceva breccia e continuavo a bollarlo come un vino stanco, vecchio e privo di identità.
Negli ultimi due anni però alcune bottiglie giuste hanno riacceso in me la curiosità e allora non è un caso se ci arrivo proprio adesso.
Non è un caso se oggi qui la barrique o si usa sapientemente o diventa un appoggio esterno per il posacenere. Non è un caso se non vi è quasi più traccia di vitigni internazionali e se oltre al sangiovese spuntano malvasia nera, canaiolo e colorino come funghi. Segni di un recente cambio di rotta che testimonia la rinascita del Chianti Classico, che oggi sembra più autentico, meno apparire e più essere, sempre nobile ma al tempo stesso del popolo.
Un territorio vastissimo con una storia da far impallidire ogni denominazione italiana e anche tante straniere, ma che tra crisi, frodi e scelte cervellotiche aveva più volte toccato il fondo.
Il progetto Chianti Classico 2000 del 1987 fu invece una scelta azzeccata: studi e sperimentazioni che hanno fatto emergere (o riemergere) un patrimonio vitivinicolo che rischiava seriamente di esser disperso, con conseguente figura da tacchini più che da galli neri. Una ripartenza che si evince anche dalla nascita di tante piccole realtà, perlopiù di stampo artigianale, molte delle quali in passato solo conferitrici ma che oggi recitano un ruolo importante nella valorizzazione di territorio e denominazione, spingendo peraltro anche tante aziende più grandi verso il cambiamento.
Da dieci anni a questa parte i risultati finalmente si vedono, anche se ad accorgersene sono forse più americani e inglesi che noi in Italia.
Ma ho voluto capirla questa mia nuova passione per il Chianti Classico, sarà stata una scappatella di qualche bottiglia oppure no? Per conoscere veramente un vino l’unico modo è immergerti nei suoi territori d’origine, ed è quello che ho fatto con weekend e ferie negli ultimi tre mesi.
C’è chi dai propri viaggi riporta souvenir e cartoline, io invece cartoline di vetro, e queste sono le dieci con cui torno da questo splendido territorio.
Maurizio Alongi – Chianti Classico riserva “Vigna Barbischio” 2018 (in anteprima)
Il vino che due anni fa iniziò a far vacillare la mia incertezza sul Chianti Classico. Unico prodotto da Maurizio Alongi, enologo di professione che quando può gioca a fare il vigneron con la sua piccola creatura, e direi che gli riesce piuttosto bene. Vigna ricca di arenaria, sabbia e calcare, divisa tra papaveri rosso Ferrari, cinghiali che fanno ciao, sangiovese e malvasia nera di età compresa tra i 20 e 40 anni.
Meno sciabola e più fioretto delle tre annate precedenti, tra fiori e tanti piccoli frutti rossi regala un sorso ricamato, con tannino fino e tanta gentilezza per un vino che già mostra una sua personalità. Manca ancora un anno di bottiglia ma sembra già bello così.