La selezione effettuata tratta in buona parte vini dell’annata 2018 che ha avuto la caratteristica, non molto comune negli ultimi tempi, di possedere una sufficiente dote di freschezza a differenza della vendemmia precedente, i cui pochi rappresentanti presenti in quest’occasione si sono comunque ben comportati.
Sul piano stilistico c’è da dire che, ancor più che con la tipologia Riserva, i vari produttori tendono a privilegiare interpretazioni molto personali che posso raggruppare in tre filoni principali: macerativi, moderni e tradizionali.
L’affinamento in rovere è presente trasversalmente nei tre filoni ma non è questo aspetto a fare la differenza.
Il gruppo dei macerativi comprende quei vini che seguono una tecnica di lavorazione che prevede il contatto, più o meno prolungato, con le bucce. Va subito chiarito che a San Gimignano più che seguire una tendenza di moda si è sviluppata nel tempo l’esigenza di valorizzare un’uva che effettivamente lega una parte del suo carattere alle bucce, dalle quali può ricavare quel compendio gustativo e, soprattutto, aromatico che manca generalmente al vitigno vernaccia. Il problema, in questo caso, è gestire la macerazione e il successivo affinamento evitando di essere travolti dagli effetti ossidativi. Debbo dire che, e lo vedremo anche con il resoconto sulle Riserve, alcuni produttori sono arrivati ad un punto di equilibrio molto interessante. Altri, invece, ne subiscono gli effetti banalizzanti e omologanti che impediscono di distinguere una Vernaccia da altre tipologie. Né più né meno di quanto succedeva fino a non molti anni fa con i vini (pesantemente) affinati in barrique.
Nel gruppo che ho definito sbrigativamente “moderno“, un termine che in realtà non amo molto e che, se non ben chiarito, vuole dire tutto e niente, intendo tutti quei produttori che utilizzano, più o meno spericolatamente, altri vitigni in supporto alla Vernaccia e tentano di salvaguardare il vino dalle temute ossidazioni con tecniche non invasive ma in ogni caso d’avanguardia. E non disdegnano, per l’affinamento, l’uso di legni piccoli.
E veniamo ai tradizionalisti che si distinguono da moderni e maceratisti perché non fanno ricorso ad altri vitigni che non siano la vernaccia (potrei definirli anche fondamentalisti in questo senso) ma evitano di avventurarsi nei rischi macerativi o in tecniche di vinificazione al di fuori delle pratiche convenzionali. È evidente che i confini che ho tracciato per semplificazione non sono così rigidi e spesso e volentieri si intrecciano tra loro perché le esperienze si sommano ad ogni vendemmia e gli scambi di vedute sono, fortunatamente, più frequenti che in passato. Nello stesso tempo ci sono aziende che abbracciano uno stile omogeneo su tutta la loro produzione e aziende che applicano le diverse opzioni stilistiche in funzione della tipologia di Vernaccia che propongono.
Nel complesso emerge una realtà in movimento che rende l’idea del dinamismo attualmente presente nella Docg.
IL COLOMBAIO DI SANTA CHIARA – Campo della Pieve
Brillante nell’aspetto, presenta profumi non tipicissimi ma netti di agrumi e lavanda, è sapido, succoso, fresco, con un profilo slanciato, dinamico, intenso e continuo, molto saporito e decisamente lungo nel finale dai toni balsamici e cerealicoli. Ottimo.
Fonte: Ernesto Gentili