Panifico in casa dal 2012, da quando uno sconosciuto mi regalò 100 grammi del suo candido lievito madre (mai accettare lieviti dagli sconosciuti).
Panifico perché mi fa stare bene, perché creare con le mani aiuta anche la mente, perché il pane è buono, perché il pane è la base di tutto. Panificare non è troppo difficile ma richiede attenzione e parecchia pratica. Anche fare il vino in teoria non è troppo difficile. Tuttavia un conto è fare un vino semplice e corretto, altra cosa è sforn… cioè, volevo dire, altra cosa è produrre un vino che resti nella memoria. Per farlo oltre alla attenzione e alla pratica occorre aggiungere un terzo fattore: la sensibilità. Quella che a Luca De Marchi, umanista sedotto dal nebbiolo sulla via di Lessona, non è mai mancata.
Dal punto di vista geologico Lessona è quasi un’isola nel nord del Piemonte. I terreni sono infatti di origine marina, sabbiosi e arricchiti da sedimenti trasportati da antichi ghiacciai. Tutto intorno dominano invece le terre vulcaniche, porfidiche, ferrose. Da queste parti, come in Langa, il nebbiolo è il vitigno più importante.
Al naso lo spunto alcolico trasporta la freschezza di viola e geranio come si addice al vitigno, ma pure petali di rosa, ribes, ginepro, pepe, anice, un ricordo di tabaccheria. L’assaggio è un balletto. Tutto si tiene: il tannino è circonfuso nell’acidità che è legata all’alcol che sta avvinghiato alla struttura che si aggrappa alla sapidità (che al mercato mio padre comprò). Quasi un unicum in movimento, come un’onda che arriva, con direzione precisa, sulla battigia.
In pratica il vino nel quale ogni bevitore sogna di imbattersi. Se il pane è la base, il vino è l’altezza.
Fonte: Nicola Barbato - Intralcio Magazine