Dopo il “Tutto Loira” al Pacchero di Salerno e la verticale del Trebbiano d’Abruzzo Valentini (con intrusi) al Marennà di Sorbo Serpico, questa volta ci siamo ritrovati all’Osteria del Gallo e della Volpe di Ospedaletto d’Alpinolo per esplorare una serie di territori (e vini) che permettono di muoversi dall’Atlantico all’Alto Tirreno senza soffrire la sete. Dalla Rioja alla Maremma, passando per Catalogna Francese, Rodano, Provenza e Sardegna.

Percorso coinvolgente ed appagante, al di là delle singole bottiglie, e il principale merito va senza dubbio alla famiglia Silvestro. Marisa e Davide in cucina, Antonio in sala, il loro locale è una certezza sotto tutti i punti di vista. Si confermano e rafforzano le impressioni delle ultime scorribande: una proposta sempre più solida, capace di mettere d’accordo sensibilità molto diverse nel mood accogliente ed empatico che vorremmo sempre incrociare.

Connubio perfetto tra piatti e vini, insomma: di seguito qualche breve annotazione sulle diverse batterie in ordine di uscita.

Cotes Catalanes Blanc Matassa 2011 – Matassa
Cotes Catalanes Blanc Coume Gineste 2008 – Gauby

Pur facendo la tara ad una probabile contaminazione da tca, continuo a non entrare in sintonia col “nuovo corso” di Tom Lubbe alias Domaine Matassa (link). Troppo sul confine selvaggio (leggi impronta volatile-ossidativa), per me: un vero peccato, perché la tipica dimensione salata dei vini di Calce ci sarebbe tutta.

Altra musica con il bianco di punta della famiglia Gauby. Ha ancora strada davanti, ma è un momento a dir poco felice per stappare il Coume Gineste ’08: quasi scarnificato nel frutto, è un tripudio di sensazioni rocciose e minerali che martellano fino all’ultima goccia.

Palette Blanc 2014 – Château Simone
Rioja Blanco Tondonia Reserva 2005 – Lopez de Heredia

Qui la tara va considerata in addizione, grazie ad un’interpretazione orientaleggiante dell’irpinissimo “accio e baccalà” (vedi foto) che regala ad entrambi i vini un surplus di armonia e piacevolezza.

Convince a pieno soprattutto Château Simone Blanc ’14, poche volte trovato così definito e disponibile in fase giovanile, con rovere già piuttosto integrato: l’annata più scarica presumibilmente lo aiuta e il sorso dà continuità al suo consueto profilo luminoso e solare (link).

Ma anche per Tondonia Blanco Reserva ’05 sembra una bella riuscita, decisamente più fragrante, tesa e sfaccettata della precedente. Gli apporti canditi, speziati e iodati non debordano, la bocca si mantiene coesa e tonica nonostante il fisico da peso medio-leggero, con chiusura gradevolmente asciutta.

Palette Rosé 2017 – Château Simone
Maremma Ciliegiolo Vallerana Alta 2016 – Antonio Camillo
Cannonau di Sardegna Mamuthone 2013 – Sedilesu

Batteria a tre, nella quale è il Rosé di Château Simone a scontare comprensibilmente i maggiori limiti di gioventù. Vale sempre la pena di ricordarlo (link): come il fratellino bianco, è buona cosa stapparlo con qualche anno sulle spalle per apprezzarlo a pieno e la versione ’17 sembrerebbe ben attrezzata per viaggiare nel tempo. Diamogli fiducia.

E’ già pienamente godibile invece il Vallerana Alta ’16 di Antonio Camillo, vero e proprio benchmark della categoria “rossi jolly” (link, link, link e link). Un Ciliegiolo goloso e stratificato, energico e prospettico, ricco di sapore e contrasti. Tra i vini di giornata, con o senza scialatielli.

E il Mamuthone ’13 di Sedilesu non è certo da meno quanto a temperamento mediterraneo, nel senso migliore del termine. Nessuna ridondanza o pesantezza, solo tanta succosa dolcezza impastata con pregevole tessitura sapida e perfino grazia estrattiva: Cannonau senza maschera, reprise (link), Cannonau col sorriso.

Châteauneuf-du-Pape Rouge La Crau 2010 – Vieux Telegraphe
Cotes Catalanes Rouge Muntada 2008 – Gauby
Rioja Tinto Tondonia Gran Reserva 1994 – Lopez de Heredia

Tema di giornata per molti versi sublimato dall’ultima terna di rossi, dove La Crau ’10 di Vieux Telegraphe fa la parte del ragazzo introverso e taciturno. Meno del primo incontro, comunque (link): non serve solo un atto di fede stavolta per inquadrarlo come Châteauneuf classico fino al midollo e pronosticarne una radiosa maturità.

Ha solo due anni in più ma è su un’espressività diametralmente opposta il Muntada ’08, vertice rossista di casa Gauby (link) prima dell’introduzione in gamma dei monovarietali da grenache, carignan e mourvèdre (qui utilizzati in blend). A dir poco loquace nella sventagliata fruttata, terrosa e pepata, roboante e al contempo placido nell’incedere gustativo: il caos armonico dei migliori vini pirenaico-mediterranei condensato in un unico sorso.

Ossimori che si manifestano in maniera ancor più plateale nel Tondonia Gran Reserva ’94: aromaticità sudista, eleganza nordica, ritmo marino, esilità montana, impronta crepuscolare e fibra giovanile, tutto insieme. Anche e soprattutto per questo più divisivo di altri, ma di sicuro incapace di lasciare indifferenti.