Con Napoli come sfondo, lo scorso 21 maggio, nell’ambito della manifestazione Vitignoitalia, nella suggestiva cornice di Castel dell’Ovo, la grande storia del vino in Campania è stata narrata attraverso i colori di sei grandi vini. Un racconto, un viaggio, un’esperienza unica, che ha permesso di vivere, virtualmente, piedi in vigna e calici alla mano, i sogni di sei produttori, il lavoro instancabile di sei vigneron, la straordinarietà di areali diversi, la passione per i vitigni autoctoni. E non solo. L’amore per una terra ricca quanto complicata, ha unito, come un fil rouge, le grandi storie, che hanno, ciascuna a suo tempo e nel proprio disciplinare, contribuito a tracciare per sempre un capitolo della storia vitivinicola campana.
Una regione meravigliosa, la Campania. Tratteggiata dalla letteratura e dalla storia per la poliedricità dei suoi autoctoni, per la tipicità dei propri vini, per la unicità del terroir. Con uno sguardo fugace al passato, la Campania ha sempre rappresentato uno dei primi e più rilevanti centri di insediamento, di coltivazione, di studio e di diffusione della coltura della vite. Non è un caso, né va considerato tale, che quelli che sono passati alla storia come i grandi vini dell’antichità come il Falerno, il Greco, il Faustiano, il Caleno fossero prodotti proprio in Campania. Lo testimoniano i molteplici reperti ritrovati nel tempo, nei siti archeologici regionali. Pompei e Ercolano rappresentano, per alcuni studiosi, la più completa fonte di testimonianze, non solo su usi e costumi dell’epoca, ma soprattutto sulla coltivazione della vite. I riferimenti enoci, infatti, sicuramente fra i più ricorrenti, consentono un salto nel passato, a quando la vite e il vino erano i protagonisti delle case patrizie o degli scambi con spezie preziose. I vitigni campani venivano studiati, descritti classificati e selezionati, proprio come si fa oggi con le grandi materie prime. Incantevoli, infatti, sono le descrizioni di Plinio, Virgilio e Columella. Ebbene, la posizione della regione campania e la rinomata fertilità delle sue terre crearono il mito della Campania Felix. In questo contesto la coltura della vite ebbe la forza di ritagliarsi un posto importante nell’economia territoriale, non certo per la quantità della produzione ma, certamente, per l’estrema tipicità di ciascun vino proveniente dalle diverse zone della regione. La storia è affascinante, si sa, ma il mondo del vino in età moderna lo è ancor di più. Il nostro viaggio inizia tra le pieghe della storia dell’azienda più giovane.
Si è scelto di camminare a ritroso, dall’azienda che potremmo definire “2.0” a quella che ha, per prima, offerto al mondo, le luci della straordinarietà di un territorio unico e irripetibile. Ma andiamo per ordine e, soprattutto, buon viaggio..
Nanni Copè
Tra le colline del casertano, nelle Terre del Volturno, a Vitulazio, sul versante che guarda il monte Taburno, si produce uno dei grandi vini del Sud: Sabbie di Sopra il Bosco di Nanni Copè. Un vino in grado di raccontare “una vita, tante vite”, come si legge sul fronte dell’etichetta. Una vita, quella di Giovanni Ascione, o Nanni Copè che dir si voglia, trascorsa tra studio, lavoro, degustazioni, viaggi, consulenze. Dopo aver studiato alla Luiss, ha proseguito il suo percorso lavorando in multinazionali dell’auto, per poi passare alle grandi aziende di pubblicità, finanche alla tv. Una carriera scintillante che nel tempo, come un puzzle, si è arricchita di tasselli, tutti diversi tra loro. La firma di Giovanni nel mondo del wine è stata sempre apprezzata e richiesta, soprattutto dalle grandi riviste di vino. Eppure, per scherzo o sul serio, a quanti chiedevano cosa fosse lo scrivere per lui la risposta era sempre “solo un hobby”. Ma si sa, un istrionico non ama stare fermo. L’ apertura di un ristorante gli fece capire che stava per arrivare aria di novità, ma a non lasciarlo mai erano la passione per il vino, la Francia, l’amore per la terra. Fu così che s’insinuò il pensiero di cambiare ancora, ma questa volta con i piedi in vigna. Non da ricercatore o da narratore, bensì da vigneron. Nel 2007 individuato sulle colline caiatine il luogo ideale dove produrre un vino che fosse elegante ma al tempo stesso di personalità, che sapesse dar voce al territorio, e che al tempo stesso riuscisse a raccontare i vitigni autoctoni, acquistò 2,5 ha di vigneto. I ceppi tra i filari, erano (e sono) per di più a piede franco. Trasformò quel che restava di un vigneto abbandonato in un vero e proprio giardino dell’eden, non solo censendo ad uno ad uno tutti i ceppi, ma organizzando il vigneto in settori. Nasceva Sabbie di Sopra il Bosco. Una vigna sdraiata su un poggio a Castel Campagnano, nell’alto casertano a circa 215 mt sl.m..con esposizione a nord ovest. Tra i filari pallagrello nero, casavecchia e aglianico. Il pallagrello nero, tardivo, dalla buccia spessa, austero e dai tannini finissimi, l’aglianico, chiamato in blend, per dare struttura e acidità. Le (poche) piante ultracentenarie a piede franco di casavecchia offrivano la differenza. Una zona incontaminata: vigneti intervallati da macchie di bosco, da suoli di sabbie arenacee estremamente drenati, pendenze importanti e escursioni d’aria costanti. Una zona segnata dai venti del Volturno e del Matese. Le radici delle viti affondano nell’arenaria di Caiazzo che ha dato origine ad un sottile tessitura sabbiosa, da qui nasce il nomeSabbie di sopra il bosco. La prima annata fu prodotta nel 2008.
La vendemmia di Sabbie di sopra il bosco è scaglionata poiché la maturazione delle uve avviene in decadi diverse. La vinificazione è in acciaio poi matura in tonneau nuove e usate per circa un anno.
Sabbie di sopra il Bosco – Terre del Volturno IGT – 2015 ( pallagrello nero, aglianico e casavecchia)
Un calice dal color rubino, dal ventaglio olfattivo elegante, minerale, poliedrico, ma soprattutto dal timbro tutto campano. Spezie scure, radice, ginepro, bacche di pepe nero, tabacco, carruba. Al palato è sontuoso e balsamico, dalla bellissima spalla acida. Un sorso preciso, intarsiato in ogni componente. Intenso, longevo, rigoroso, complesso e elegante.
Certamente un vino-rivelazione, una delle novità italiane di maggiore successo che ha contribuito alla rivalutazione e rivoluzione dei rossi del sud. Un vino dalla spiccata personalità mediterranea, dai profumi al carattere, di grande forza, intensità, struttura, ma allo stesso tempo capace di offrire un sorso lungo, combinato a grazia e finezza. Un vino dalla vocazione bordolese, ma dall’essenza tutta campana. La capacità di Giovanni? Creare un vino in grado di raccontare il territorio, valorizzare gli autoctoni, accarezzare il palato e diventare, nel breve tempo, una vera icona di stile non solo campana.
Fonte: Teresa Mincione per Luciano Pignataro