Che impatto ha la qualità del legno usato in cantina sul risultato finale del vino? È una domanda che ci si pone spesso, mentre si assaggia un vino ovvero che influenza ha avuto l’affinamento in legno sul profumo e sul sapore del vino? C’è un produttore, in Valpolicella, che usa affinare l’Amarone in 4 diverse essenze di legno; è Pier Paolo Antolini che insieme al fratello Stefano produce il suo vino a Marano di Valpolicella. Pier Paolo ci accoglie con il suo sorriso incorniciato dalla barba un po’ hipster, ci da un bicchiere in mano e ci porta in cantina, che è piccola e stipatissima di botti, tutte grandi. Dopo aver pigiato le uve appassite di corvina, corvinone, rondinella e molinara, il mosto viene fatto fermentare e poi viene svinato.
Ed è qui che la storia si fa avvincente perché Pierpaolo suddivide la massa in 4 essenze diverse: rovere, castagno, ciliegio e gelso. Ognuno di questi legni – ci spiega – permette al vino di esprimersi in modo molto diverso, un po’ come se fossero 4 maestri che educano il vino in modo differente. Attaccata ad ogni tino c’è una lavagnetta che riporta il tipo di vino e l’essenza della botte. “Attenti a non appoggiarvi alle lavagnette, sennò succede un casino” ci ammonisce, ridendo.
E la nostra degustazione comincia così, assaggiando diversi prelievi del vino “atto a divenire” Amarone 2016. Pierpaolo ci riempie il bicchiere da un tino di rovere. I profumi che emergono sono scuri e tostati, si distinguono sentori di noce, di mandorla e di chiodi di garofano. Al palato il tannino è piuttosto ruvido ed il retrogusto riporta alla mente la foglia di tabacco da sigaro e la noce moscata, mentre la freschezza è sferzante.
Il secondo assaggio ci viene servito da una botte di castagno e dimostra, inizialmente, una natura suadente che si manifesta con sentori di petali di viola e di rosa e sentori dolci di piccola frutta rossa in confettura.
Il palato è ampio e gustoso, e dà l’impressione di avere un maggior residuo zuccherino rispetto al primo bicchiere assaggiato. Questa sensazione di pseudo dolcezza viene subito spazzata via da un tannino terribilmente asciugante e secco.
Il terzo calice è un prelievo da un tino di ciliegio. È un vino aperto, quello che assaggiamo, che ci offre note dolci di violetta, di ciliegia sotto spirito e di lampone maturo insieme a sensazioni balsamiche che ricordano la foglia di te essiccata e soffi eterei. Al palato è intenso e più alcolico dei precedenti e forse per questo la freschezza appare mitigata.
Pier Paolo preleva l’ultimo campione da quello che lui definisce il suo grande amore, una botte di gelso. Pur essendo molto diffusa in passato questa essenza è ormai in disuso ed è difficilissimo trovarla in commercio (in effetti gli alberi di gelso che pullulavano nelle corti contadine, perché servivano alla coltivazione di bachi da seta, ormai in Valpolicella non ci sono più). Si tratta di un legno molto poroso e dal profumo dolce, che al vino dona al corredo olfattivo del vino sensazioni che ricordano il miele e la cera d’api. Il palato, al contrario, lascia completamente di stucco per la grandissima freschezza e verticalità ed i tannini polverosi che lasciano una scia di talco e polvere di cacao. Ora ci resta una sola cosa da fare, ovvero assaggiare il vino assemblato e imbottigliato.
Detto, fatto. Pier Paolo ci accompagna nella sua bella sala degustazione, ricavata tra i volti della vecchia cantina di famiglia dove ci serve l’Amarone della Valpolicella Classico Moropio 2015, in bottiglia da quasi un anno. Il vino è assemblato così: 25% da tini di ciliegio, 25% da tini di castagno, 5% dalle botti di gelso ed il restante dal legno di rovere. Quello che più stupisce, è che assaggiandolo siamo in grado di individuare con chiarezza i sentori che abbiamo conosciuto in cantina: è un’epifania!
Riconosciamo le note tostate del rovere, quelle floreali del castagno, la balsamicità del ciliegio e i ricordi mielati del gelso. Il bouquet è fuso, amalgamato, denso e terribilmente piacevole. Il palato è profondo e ricco e finalmente equilibrato. Dopo una degustazione così entusiasmante, d’ora in avanti, approcciando il vino, saremo ancora più tentati di coglierne l’essenza.
Fonte: Corinna Gianesini - SlowFood