Parte prima, dialoghetti morali.
Come Mimi, Fifi e Glouglou, i tre eroi nati dalla penna felice di Michel Tolmer, ci ritroviamo ancora seduti ad un tavolo ingombro di bicchieri semivuoti e bottiglie avvolte da carta stagnola. Èalla cieca che si vede il degustatore di razza, colui che riconosce il vitigno la zona di produzione, il produttore e perfino millesimodel vino degustato nell’anonimità più assoluta.
L’oste versa il vino, io e Pego guardiamo il colore dorato trascinato verso oscuri lampi verdi, bolla generosa. Basta guardare! Annusa perdio! L’oste è impaziente e ci stuzzica.
Bum! La prima sensazione è ostile, ridotto vegetale sulfureo, come un genio molto arrabbiato per essere rimasto tanti anni dentro una bottiglia troppo stretta. Certo non si può dire che sia elegante, come si fa a dire qualcosa di sensato su questo vino? Pego non parla, aspetta, ha certo ragione lui perchè a essere impazienti con certi vini rischi di non capire.
Assaggio. Il tumulto del naso invischia anche la bocca, il vino è potente, furioso, la bolla disciplina una polpa di notevole spessore. Acidità e sale, gran lunghezza di sapore e quando il vino se n’è andato giù ecco comparire più nitidi i profumi. Agrume scuro, chinotto forse, vegetale caldo tipo tabacco, niente fiori nemmeno fanè, frutta secca sì, mandorla tostata legno secco. Legno? Fa legno? Ma va…
Comincia la sarabanda delle ipotesi come al solito, nel frattempo il profumo del vino si dilata e si ripulisce dall’ostilità iniziale. Il bello della degustazione sono le parole o i fatti, cioè il vino?
Dai, allora il vitigno? La zona? Eppure è un produttore storico, una colonna della denominazione uno di quelli veri, contadino di una volta mica come certi damerini moderni cresciuti come funghi sul corpaccione di questa zona famosa proprio grazie a signori come questo.
Dicevamo vegetale, maturo, grande energia in bocca, poca disciplina aromatica me beva magnetica, sembra giovane vecchio, cioè millesimo maturo con tanta sosta sui lieviti che però ha appena iniziato il suo percorso dopo la sboccatura.
Dissolvenza. Lasciamo i degustatori alle prese con le loro incognite e diamo qui la risposta per chi è curioso:
Faccoli Extra Brut DT decennale 2008 VSQ
Parte seconda, problemi di regole
Il vino in questione è fiore all’occhiello della produzione di un vignaiolo storico della Franciacorta. Il vino non uscirà sul mercato con la fascetta della DOCG e quindi non potrà fregiarsi dell’indicazione territoriale; saràun Vino Spumante di Qualità generico insomma. La commissione per l’assegnazione dell’idoneità alla tipologia Franciacorta Riserva, alla quale il vino in questione dovrebbe appartenere, ha respinto il soggetto in quanto difforme dai canoni previsti dal disciplinare con motivazioni che non conosco.
Leggo e rileggo la norma:
Franciacorta Riserva
- spuma: fine, intensa;
- colore: dal giallo paglierino più o meno intenso, fino al giallo dorato con eventuali riflessi ramati;
- odore: note complesse ed evolute proprie di un lungo affinamento in bottiglia;
- sapore: sapido, fine ed armonico;
- titolo alcolometrico volumico effettivo minimo: 11,50% vol;
- acidità totale minima: 5,00 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.
È consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut, nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria.
Continuo a non capire ma evidentemente i membri delle 3 commissioni che hanno assaggiato alla cieca pensano che un elenco così generico non contempli anche l’espressività di questo vino, perchè dubito fortemente che i dati analitici, controllati prima delle degustazioni, non corrispondano alle caratteristiche richieste e quindi tutto si riduce allo “stile” del vino.
Mi domando ancora: ma le commissioni non dovrebbero preoccuparsi in primis di garantire provenienza e metodi di coltivazione nonchè di lavorazione delle uve e tutta quella serie di parametri oggettivi descritti nei disciplinari tralasciando le questioni di carattere puramente stilistico dell’espressione organolettica del vino? Non sarebbe meglio avere una pluralità di odori e sapori invece che ricercare l’uniformità di produzione? Uniformità rassicurante per il consumatore certo, ma che è la gabbia in cui rinchiudere un gesto non totalmente ponderabile che è fare vino. Temo che non sia con questi metodi che si contrastano imbroglioni, pasticcioni e malandrini.
Un amico di bevute mi dice che la strada dei vini belli è lastricata dalle lapidi dei VSQ sbagliati, allora metterò in bacheca la bottiglia di Faccoli accanto ai vari “Esclusi”e amen.
Fonte: Paolo Nozza - SlowFood