Sono ancora stordita dal chiasso della strada che contrastava il silenzio ovattato della sala degustazione allestita nell’imponente Museo Diocesano di Napoli, e quasi no n riesco a raccogliere le idee e buttare giù qualcosa di decente che possa descrivere con precisione il ritmo e la ricchezza di questi tre giorni di Campania stories.
Potrei parlare della dicotomia straniante che risuona lungo le strade napoletane che contrasta la sontuosità dei palazzi storici e delle chiese barocche, ma è un tema ampiamente affrontato dalla letteratura e non mi sento di aggiungere altro al già detto. Oppure potrei parlare dell’impeccabile servizio AIS ai banchi di assaggio delle sessioni mattutine dove ho potuto scoprire alla cieca che l’annata 2014, notoriamente difficile, per alcune etichette è stata sorprendentemente valida mentre la 2015, come da copione, ha esteso la sua potenza in gran parte della produzione.
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Potrei parlare ancora a lungo degli assaggi che impegnavano la giornata, ma la cosa che mi preme dire e che mi emoziona dichiarare per prima, è che in Campania – più precisamente a Tufo – vive e lavora un raro esemplare di maschio alfa. Grazie alla mia prima edizione di Campania Stories, posso dichiarare al mondo con emozione vibrante il successo di questa scoperta.
I testi di antropologia dichiarano estinta questa specie in determinate latitudini del mondo, ma è probabile che i redattori di testi di antropologia siano poco interessati alla produzione vinicola campana. Le donne alfa, invece, molto attente alla bottiglia e ai processi di produzione del suo contenuto, appena fiutano un esemplare della stessa specie ma di genere diverso, sgranano gli occhi e producono acquolina mentre descrivono ciò che hanno visto e bevuto.
Il maschio alfa esiste, si chiama Angelo Muto e vive a Tufo. Ha lo sguardo gentile e le mani grandi e forti, la presa sicura, la risata aperta e un’attitudine alla guida di fuoristrada in terreni fortemente scoscesi come solo i fratelli Duke con la loro Generale Lee sapevano fare. Solo che io non sono Daisy Duke, e il viaggio lungo le vigne scoscese me lo sono goduta sul passaruota posteriore destro: una gioia per i miei lombi. Il maschio alfa Angelo Muto conserva con orgoglio un secchio di acqua del pozzo per far vedere agli ospiti la viscosità dovuta alla
presenza di zolfo, propria di Tufo. Siccome è generoso e attento, vede che la mia pelle comincia a risentire della forza di gravità e mi invita a umettare il viso con quell’acqua. Poi, con il passo del bersagliere percorre una delle sue vigne – forse la più scoscesa – con la sicurezza di uno stambecco, mentre noi persone normodotate e dalla mobilità incerta arranchiamo con la lingua penzoloni lungo lo stesso percorso.
Il maschio Angelo Muto conosce la sua terra con la precisione di un nativo americano di certi film western (maschio alfa di altri continenti) e ne descrive con dovizia di particolari le caratteristiche geologiche che gli permettono di produrre un Greco di Tufo sui generis, che esprime esattamente tutto il bendiddio che quella terra così stratificata e ricca può dare. Il maschio alfa con benevolenza offre i suoi campioni di botte Miniere e Torre Favale 2016, e chi non ha gli attributi non può capire, per selezione naturale della specie, che quei vini sulfurei e
marini dai fiori vaghi ma percettibili diventeranno bottiglie dalla potenza unica. Insomma, eccomi di nuovo a casa tentando di scrivere cose sensate che escono dalla tastiera inevitabilmente sconnesse per colpa del vino o forse degli ormoni, o ancora del vino sommato agli ormoni, e forse è meglio programmare una vacanza verso lidi più temperati.
Fonte: Intravino