Sembrano quasi un monito le fotografie di Fabrizio De Andrè appese nella cantina di Antonio Camillo, viticoltore maremmano, a Manciano (Grosseto). Ci sono i premi vinti, il Gambero, Slow Wine, l’Espresso. Ma poi c’è Fabrizio in bianco e nero che sorride alle acciughe e ad Antonio, che sta lì sotto, tra le vasche di cemento. Faber, che con il vino aveva un rapporto molto confidenziale, pare che voglia ricordare che il vino è un amico di tutti i giorni e bisogna dargli del tu. Camillo lo sa bene, perché è uno di quelli che i suoi vini li vuole guardare bene e riconoscere. Per questo ha fatto la scelta un po’ talebana del monovitigno: “Non mi piacciono i blend, gli incroci. I miei vini li voglio così”. Eppure Antonio non è un talebano, non ne ha é ni modi, né il pensiero.
Alla parola “naturale“, nonostante la poca solforosa e i lieviti indigeni, storce la bocca, “non mi piace”: “Ho provato anche ad andare a Cerea quest’anno. Ma non mi hanno preso, perché faccio il controllo della temperatura. Mah”. E la certificazione biologica? “Ce l’ho per i due Morellini, per gli altri no, che compro le uve dove non sono biologiche. Sto cercando di convincerli, ma sa, ci vuole tempo, e pazienza, e soldi”. Eppure il marchio biologico non c’è sulle bottiglie di Morellino: “Sì, non l’ho messo, perché mi sembrerebbe una presa in giro e un modo per fare un torto agli altri vini”.
Dare del tu al vino vuol dire non averne timore, ma anche non volerlo addobbare in modo pretenzioso. “Io cerco di fare vini poco concentrati, a basso tasso alcolico, piacevoli da bere”. Ed è vero, sono vini che non sono sontuosi e non voglio stupire, ma son di facile beva, senza spigoli, con tannini e acidità sempre moderate. Un’etichetta addirittura l’ha chiamata “Tutti i giorni rosso” e per questo è finita in quel bel volume della Giunti, “Vini da scoprire – La riscossa dei vini leggeri“, dei bravissimi Castagno-Gravina-Rizzari. Il trio ha chiamato Camillo il “Mozart del Ciliegiolo“.
Di Wolfgang ci piace ricordare la concezione del mondo, perfettamente condivisibile, di Don Giovanni: “Viva le femmine, viva il buon vino, sostegno e gloria d’umanità”. Ed è vero che dentro il Ciliegiolo di Camillo si sente una musica classica e leggiadra. Il Ciliegiolo è un vino di cui sente parlare da un po’ e di cui si dovrebbe parlare di più, Vitigno morbido, alcolico, profumato e con pochi tannini, in passato è stato usato per lo più come vino da taglio del Sangiovese, per fare il Morellino. Originario della Toscana, viene coltivato in Liguria, Umbria e altre regioni. “I primi produttori a farlo in purezza, dalle nostre parti – racconta Camillo – sono stati Rascioni e Cecconello, Sassotondo e poi anche La Busattina, che non usa solfiti. Ora saranno una trentina le etichette che lo fanno”.
Camillo ne fa una versione straordinaria, il Vallerana Alta, vincitore dei Tre Calici: “Ma non tutti gli anni lo faccio, dipende da come viene l’uva. Il 2017 l’ho saltato, per esempio. E’ fatto con vigne che hanno 60 anni, su un terreno di argilla rossa. Macerazione di 30 giorni sulle bucce. Affina 30 giorni in cemento, un anno in botte grande e poi altri tre mesi in cemento”. La Doc è “Maremma Toscana“: “E’ una roba un po’ politica, nata da poco. C’è dentro di tutto: ciliegiolo, sangiovese, petit verdot, alicante, cabernet, shyrah…”. Antonio ha lavorato a lungo nei campi, poi alle Pupille e con Poggio Argentiera e infine si è messo in proprio, affittando le terre. Oltre ai Ciliegiolo Principio e al Vallerana Alta, Camillo produce il Morellino di Scansano, un Vermentino e un Procanico (varietà del trebbiano toscano, che fermenta 15 giorni sulle bucce).
Fonte: Er Murena - Puntarella Rossa