Potrei iniziare una nuova rubrica (nuova per questo blog, d’altronde da quanto tempo non si vede qualcosa di nuovo nel vino?) e chiamarla Il vino della settimana.
Il primo di questa sorprendente rubrica sarebbe questo e chiusa lì. Chiusa lì? Sì, denominazione, tipologia, annata, azienda, valutazione. Che sarebbero 5 stelline. Cinque coppette, cinque bicchieri, faccine, soli o lune, quel che vi pare: la sostanza è il massimo della possibile valutazione. Siamo ai vertici, mondiali, e lo sapevate già. Cioè dai, è il bianco di Château Simone: che, davvero non lo conoscete? Che poi pensavo: mica ho mai sentito dire adesso mi sparo un bel Palette bianco. Anche perché è come se non esistesse il Palette: 45 ettari di denominazione metà dei quali sono di Château Simone che lo interpreta in versione bianco, rosso e rosato. Nelle ali il meglio per me. Il resto è diviso tra uno sparuto gruppo di soci di una cantina cooperativa e due, tre produttori: che io sappia niente di rilevante.
Ho sentito dire, invece: che ne dici del bianco di Château Simone? E che ne dico. Stappa. A parte che solo guardare l’etichetta e farsi accarezzare dal suono della parola Simon, armoniosamente flessuosa e morbida, ci si squaglia. Ma come? Starà pensando qualcuno. Essì: innanzitutto conosco il vino, ma poi la cosa delle aspettative è sempre un’arma a doppia taglio, e infine: davvero ci trovate gusto ad essere sempre integerrimi? Simon, per la precisione Demoiselle de Simon,La Simone come la chiamavano i contadini dell’epoca, è stata una delle proprietarie del domaine prima che arrivasse alla famiglia Rougier, che lo conduce da duecento anni. Ma non fu la prima: i monaci dei Grands Carmes d’Aix scavarono la cantina nella roccia e piantarono con sistematicità le vigne ben prima della rivoluzione. Non ne so molto della Simone nonostante qualche ricerca. Eppure, il suo è il nome dell’azienda riportato sui tre vini. E quindi ogni volta che ne stappo una bottiglia io penso alla Simone. Che al francese si declina al femminile, in italiano sarebbe maschile. E a Meyreuil, non lontano da Aix-en-Provence, a trenta chilometri da Marsiglia, dovesi è duri come insegnava Fusco, a trenta minuti dal mediterraneo tu che ti aspetteresti? Un vino mollemente maschio, qualcosa che suoni più come il Castello di Simone, appunto. E invece. Poi sì, forse dovrei dire dei suolicalcarei e pietrosi su cui sono piantati i piccoli alberelli, d’accordo, l’esposizione a nord e il bosco, i vitigni,soprattutto clairette, che già suona leggermente vezzoso, seguita da grenache bianca, bourboulenc, ugni blanc emuscat.È imponente nelcarattere, nel tratto aromatico che conserva qualcosa di sud nel sorso succulento, nella tessituradella stoffa, nei colori gialli a cui rimandano anche i profumi, nel tratto sapido. Eppure è leggiadro e scattante, ricco di contrasti e chiaroscuri: floreale, speziato, boschivo, agrumato, affumicato. E così torna al palato, vasto edettagliato, dopo averlo deglutito. Già in equilibrio, durerà a lungo.
Fonte: Il Viandante Bevitore